In conversazione con Giulio Pepe, Senior Quantitative Researcher.
Il premio Nobel per la fisica 2021 è stato assegnato a Giorgio Parisi, fisico teorico italiano, per le ricerche sui sistemi complessi, e a Syukuro Manabe, climatologo giapponese, e a Klaus Hasselmann, oceanografo tedesco, per i loro studi sul riscaldamento globale.
Quanto la fisica può essere utile per la previsione del cambiamento climatico e per trovare strategie adeguate alla risoluzione del problema?
La fisica è forse uno degli strumenti più potenti che abbiamo per aiutarci a capire – ma anche risolvere – il problema del riscaldamento globale. L’assegnazione del premio Nobel a fisici in ambiti così diversi è segno di come il problema sia complesso e come la collaborazione tra diverse aree possa aiutare a comprendere il problema da differenti angoli visuali.
Fisicɜ, geologɜ e climatologɜ hanno studiato il fenomeno del cambiamento climatico dal XIX secolo, con varie speculazioni sulle sue origini ma con poche prove concrete a causa dell’assenza di dati. Sono questi i casi in cui la fisica aiuta di più, creando modelli matematici che tentano di spiegare le osservazioni in maniera coerente.
Anche una proiezione del clima, oggi, relativamente semplice ha bisogno di una conoscenza abbastanza solida di vari processi fisici: termodinamica, radiazioni elettromagnetiche, dinamica dei fluidi, fisica degli stati della materia e addirittura conoscenza di diversi fenomeni della nostra stella più vicina (il sole), come la spettrografia e i cicli dell’attività solare.
Grazie al lavoro dɜllɜ geologɜ, abbiamo raccolto sempre più dati riguardo temperature e livelli di anidride carbonica nelle ultime decine e centinaia di migliaia di anni, permettendo così allɜ fisicɜ di creare modelli più accurati e complessi.
Il consenso della comunità scientifica sulla questione che il riscaldamento globale è antropogenico ha raggiunto il 98.7% nel 2021. Ci sono pochi dubbi sull’esistenza del problema, ma è ugualmente importante conoscere meglio il fenomeno per poterlo risolvere. Grazie al lavoro di Manabe, Hasselmann e Parisi, abbiamo un’idea più precisa della matematica che circonda il cambiamento climatico per capirlo nel dettaglio: processi stocastici, sistemi complessi e teoria del caos.
Guardando al futuro, la risoluzione del problema ha indubbiamente bisogno di una coordinazione tra scienza e legislazione per limitare la produzione di gas serra. La fisica può comunque giocare un ruolo molto importante: lo sviluppo di nuove tecnologie per generare energia pulita potrà essere il vero game-changer per soddisfare gli elevati consumi di energia di una popolazione che cresce in maniera esponenziale. Gli esempi sono svariati, come le celle solari – su cui ho speso una buona parte della mia ricerca di dottorato – centrali di produzione di energia a fissione nucleare più sicure, o fusione nucleare che è ancora in fase di ricerca. Gli aiuti dalla fisica e dall’ingegneria possono arrivare anche sotto forma di riduzione dei dannosi gas serra nell’atmosfera, come i prototipi (ad esempio Air capture) per la cattura dell’anidride carbonica già presente nell’atmosfera.
Lei si occupa di sistemi complessi in ambito finanziario, ma potremmo utilizzare gli stessi strumenti fisici e matematici per analizzare qualsiasi altra tematica? Pitagora aveva ragione sostenendo che tutto è numero?
La fisica è sempre stata di aiuto in molti ambiti diversi che a prima vista sembrano sconnessi. Io, in primis, lavorando in ambito finanziario pur avendo una formazione ed esperienza accademica in fisica, apprezzo come il metodo scientifico e l’abilità di costruire modelli matematici basati sulla realtà si applichi quasi in modo naturale anche alla finanza. Nel mio lavoro, uso spesso metodi ispirati dalla fisica per risolvere problemi e ipotizzare stime nel campo dei mercati azionari.
Il cuore delle discipline scientifiche tratta le varie osservazioni come pezzetti di un puzzle e crea un modello matematico per spiegare il fenomeno che è oggetto di studio, e per poterne predire il funzionamento. In fisica, questo metodo viene usato per spiegare fenomeni naturali, ma può essere applicato in diverse materie, anche umanistiche, dove ci sono di mezzo consistenti dati numerici.
Sono moltɜ lɜ fisicɜ che hanno ficcato il naso in altri campi della conoscenza, spesso proponendo soluzioni creative e fuori dagli schemi. Gli esempi sono molteplici: Shannon con l’uso dell’entropia nella teoria dell’informazione e computazione, Libby col metodo del carbonio-14 per la datazione radiometrica che ha rivoluzionato l’archeologia, Röntgen con la scoperta dei raggi X e la radiografia che è usata di routine ancora oggi in medicina. Ma la fisica non ha solo fornito strumenti di analisi, ha influenzato anche la cultura e la storia dell’arte. Ispirazione dal mondo della fisica si possono notare dal futurismo all’arte moderna, da Boccioni a Newman.
Anche se la fisica sembra aver toccato svariate discipline, non sono d’accordo con l’idea che tutto sia un numero. Ho sempre considerato i numeri e i modelli come un’utile astrazione per descrivere la realtà, ma non come un sostituto. Le nuove frontiere della fisica sono un buon esempio di come concetti ritenuti sacri dalla fisica classica, come il determinismo, sono forse un’illusione e la realtà è più caotica (fisica quantistica) e non può essere ridotta solo a numeri.
Il filosofo cinese Zhuangzi, oltre due millenni fa, formulava una critica radicale al dualismo tra soggetto e oggetto per una vera comprensione delle cose. Anche Carlo Rovelli, fisico italiano, riprende questa teoria nel suo Helgoland(2020) sostenendo che ciò che possiamo dire della realtà non è che uno degli aspetti della realtà stessa. Dovremmo utilizzare più filosofia antica per comprendere meglio le scoperte della scienza di oggi?
Fisica e filosofia sono nate insieme e c’è sempre stata una correlazione tra teoria ed esperimenti nel progresso della conoscenza. Matematica e teorie hanno spesso dato ispirazione a esperimenti, mentre nuovi dati e risultati inaspettati hanno anche spesso guidato lo sviluppo di nuove direzioni nella teoria stessa. Come ha ben espresso dal filosofo Khun, il progresso nella scienza avviene tramite rivoluzioni. Con le più recenti rivoluzioni scientifiche, la filosofia ha avuto un ruolo sempre più importante, perché con la distruzione dei concetti classici di spazio, tempo e causalità, stiamo scoprendo che il tessuto della realtà è più complicato di quanto ci aspettavamo. Relatività e fisica quantistica ci mostrano che agli estremi del grande e del piccolo, il mondo si comporta in maniera inusuale e fuori dalla logica delle conoscenze e leggi fisiche a cui siamo abituati.
Sono questi i casi in cui la filosofia è più di aiuto nella fisica, come guida nel progresso di queste rivoluzioni. La fisica di cui stiamo parlando è la fisica moderna, eppure gli albori risalgono già al primo Novecento. Nuovi esperimenti sono sempre più costosi e richiedono più tempo e collaborazione a livello mondiale. Quindi, così come la relazione tra teoria ed esperimenti è indispensabile per guidare il progresso scientifico, penso che la filosofia, soprattutto quella antica, sia un utilissimo strumento cognitivo per guidarci verso le ignote nuove frontiere della fisica del ventunesimo secolo.
Dobbiamo al climatologo Menabe gli studi, negli anni ’70, su cosa sarebbe successo all’atmosfera terrestre all’aumentare della concentrazione di CO2. E fu Hasselmann a calcolare gli effetti dell’attività antropica sul clima. Parisi grazie ai suoi modelli di interazione tra il disordine nei sistemi fisici dal livello atomico a quello planetario ha descritto fenomeni come il riscaldamento delle masse d’aria dell’atmosfera. Perché lɜ scienziatɜ restano così a lungo inascoltatɜ?
La scienza è un gigante buono. Le tempistiche di ricerca sono lente, a causa del meticoloso processo di peer-review, del grosso corpus di conoscenza che cresce inesorabilmente e delle poche risorse che vengono allocate alla ricerca. Ci sono voluti decenni solo per avere un robusto consenso sul pericolo del riscaldamento globale. Questa lentezza a volte è interpretata come incertezza, ma deve invece essere considerata come accuratezza. La scienza vive di rivoluzioni e dietro-fronts, quindi è naturale che una teoria debba attraversare varie fasi di revisione, prestarsi al dibattito e validare nuovi dati prima che venga accettata come attendibile da tutta la comunità scientifica.
In questo caso specifico, c’erano ancora meno incentivi per voler ascoltare lɜ scienziatɜ. Gli avvertimenti dellɜ scienziatɜ hanno soluzioni precise e vincolanti che non si accordano ad un mondo ossessionato dalla crescita economica. Come ha ipotizzato lo storico Harari in “Sapiens”, la scienza finora ha avuto la fortuna di avere gli interessi allineati con la crescita, e i continui progressi tecnologici hanno non solo alimentato la crescita stessa ma anche hanno reso la vita molto più facile rispetto a quella dellɜ nostrɜ antenatɜ. Con la scoperta del riscaldamento globale, la scienza suggerisce moderazione nei consumi, in una visione quasi contraria a quella del progresso che sostiene una domanda crescente. In realtà, le soluzioni più promettenti, a mio avviso, sono quelle che guardano a risolvere il problema con nuove tecnologie. Purtroppo, il riscaldamento globale è un nemico molto più agile e veloce del nostro gigante buono, quindi abbiamo bisogno di tutti gli aiuti e incentivi possibili per accelerare il progresso scientifico.
In che modo la scienza potrebbe essere meglio compresa da una platea, la più espansa possibile, così da far partecipare attivamente tuttɜ nel processo di tutela ambientale?
Il modo in cui si fa scienza oggi è non solo tramite discussioni piene di gergo e tecnicismi, ma spesso in journals dietro costosi paywalls. Per fortuna c’è un movimento per rendere il peer-review nella ricerca scientifica più inclusivo e gratuito, invece che essere relegato dal prestigio delle università e a logiche di dipartimenti. Mio fratello Alberto Pepe lavora da più di dieci anni su una piattaforma di nome Authorea per permettere allɜ scienziatɜ di scrivere e pubblicare la propria ricerca in maniera totalmente aperta e trasparente.
Mentre il gergo aiuta la discussione tra lɜ espertɜ nei diversi ambiti della conoscenza, a discapito dello stereotipo dellə scienziatə riservatə, la comunità scientifica alimenta i dibattiti e li mette alla prova anche con non-scienziatɜ. Il problema principale è la carenza di piattaforme professionali per poter esprimere l’importanza della ricerca. È per questo che dal 2021 ho fondato una organizzazione non-for-profit: Scio insieme a Xin e Tom, due amici di università. La nostra missione è proprio di colmare il divario conoscitivo tra lɜ scienziatɜ e i non-scienziatɜ fornendo una piattaforma in cui si può avere una vera e propria discussione senza pregiudizi, con espertɜ di qualsiasi dominio dalla scienza e alla tecnologia.
Sono sicuro che il futuro vedrà un’integrazione più omogenea della scienza in modo da rendere tuttɜ più partecipɜ non solo nella discussione riguardo la tutela ambientale, ma anche nella condivisione della conoscenza delle più svariate tecnologie future su cui la scienza sta lavorando.
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