In conversazione con Santi Luca Famà dottorando in letteratura italiana/Environmental Humanities all’Università di Stoccolma.
Che cosa è l’ecocritica e come si posiziona in relazione alla presenza delle soggettività nonumane? La metodologia della teoria dell’ecocritica avvalendosi dell’interdisciplinarietà ne è rafforzata oppure no?
Si potrebbe dire che l’ecocritica nasce come materia che sfrutta l’interdisciplinarità; infatti, fin dall’inizio l’approccio ecocritico si è posto come obiettivo il fare da ponte fra più discipline per realizzare analisi testuali che—andando al di fuori di ciò che era considerata la tradizionale critica letteraria—mostrano una maggiore attenzione e una più forte sensibilità nei confronti di tematiche ambientali e generalmente nonumane. Non è un caso se fra gli studiosi più accreditati in questa branca troviamo figure, come Donna Haraway, che hanno conseguito una formazione educativa non esclusivamente legata alle humanities ma anche plasmata dalle cosiddette hard sciences. Bisogna capire, entrando nell’argomento dell’ecocritica (e di tutte “frange” che si occupano del rapporto fra letteratura e nonumano, in genere), che il sistema accademico in cui facoltà e dipartimenti sono soliti comportarsi come singole isole sempre solo burocraticamente comunicanti non può più sussistere. Ci sono argomenti e tematiche che necessitano di un apporto collettivo che non può che chiamare a gran voce una collaborazione fra accademici con competenze diverse ma scopi comuni.
Se l’ecocritica ha una valenza di tipo etico-educativo in che modo le categorie estetiche della letteratura possono coesistere con quelle pedagogiche delle problematiche ecologiche?
Affermare che l’ecocritica abbia una valenza di tipo etico-educativo credo sia un azzardo. Ciò che l’ecocritica può fare è presentare una visione del mondo diversa da quella antropocentrica, così da spingere i lettori a porsi nei panni di ciò che non è umano e immaginare di vivere una vita che non gli appartiene ma che spesso può condizionare. La letteratura non può assumersi il compito di cambiare gli animi; la cosiddetta “sensibilità ecologica” diventerà norma fra gli umani solo se verrà creato un sistema di cambiamenti in più ambiti (politico, economico, educativo, comunicativo, etc.). Il mettersi nei panni degli animali mentre si legge un libro decisamente non basta.
Sono molto curioso di comprendere chi oggi plasma il sentire globale. Che funzione ha l’accademia nella contemporaneità? La sensibilità ecologica è più condizionata dall’editoria e dall’attivismo oppure dalle teorie ecocritiche? Le figure leggendarie degli intellettuali a tutto tondo, come Umberto Eco, sono scomparse per effetto di quel fenomeno di erosione del centro in favore delle periferie oppure abbiamo solo nuove forme di potere culturale come gli attivisti social?
Credo che non ci sia più una figura “leggendaria” perché è cambiato il modo di vedere la società: l’idea stessa di un agente che plasmi la società tende a dividere la popolazione in colti/potenti e ignoranti/deboli, ed è un’immagine che forse poteva sussistere in passato ma non più. Sappiamo molto bene che l’accesso generalizzato ad internet ha portato ad una democratizzazione dello spazio sociale; quindi i riflettori non sono più puntati solo su coloro che creano cultura ma anche su quelli che la ricevono, permettendo un dialogo che sostituisce il precedente soliloquio. Non è un caso se eminenti figure degli Environmental Humanities come Timothy Morton si trovano spesso a discutere con i loro lettori su Twitter (o altri social). In altre parole, credo che chi ha una sensibilità ecologica—o ha la volontà di crearla—trova il modo di attingere e contribuire allo stesso tempo alla creazione di una cultura più attenta al rispetto di ciò che ci circonda; il punto di partenza—se accademico o social—oggi importa meno. Ovviamente, un’educazione sui temi è importante e non tutti la padroneggiano, ma la divulgazione di questi concetti è importante e proficua indipendentemente da chi la fa.
Quali sono i modelli di rappresentazione del nonumano in letteratura?
Rappresentare il nonumano è molto complesso, principalmente perché bisogna far fede a sensi umani che il nonumano rappresentato molto probabilmente non ha—o che, se li possiede, hanno caratteristiche spesso diverse da quelle umane. Per chiarire, rappresentare un cane dal punto di vista del cane è impossibile per gli umani, perché noi non siamo capaci di vivere la vita di quel cane usando i suoi sensi e le sue percezioni. A questo punto, qualcuno potrebbe anche pensare che quindi provare a farlo non ha senso, ma ce l’ha. Il tentativo è sempre un avvicinamento al nonumano, è un passo verso un rapporto più rispettoso con ciò che si considera altro rispetto a noi. In realtà, le rappresentazioni di nonumani sono sempre state comuni in letteratura. Pensiamo alle favole di Esopo o Fedro! Lì, i personaggi erano sempre e solo animali; la differenza con la rappresentazione nonumana che si predilige oggi consiste nel tentativo di non usare il nonumano come stand-in per l’umano. In altre parole, il personaggio nonumano non deve essere trasformato in un “uomo vestito da animale”, cioè un animale che si comporta, veste e comunica come un umano (come succede nei film Disney, ad esempio). Questo tipo di racconti non presenta una realtà veramente nonumana, ma utilizza una veste diversa per trasmettere un messaggio puramente ed interamente umano. E quindi, come si fa? mi si potrebbe chiedere. Beh, è difficile rispondere in maniera certa. Una tendenza che sembra affermarsi sempre più è quella di evitare di essere didascalici nei testi che cercano di sensibilizzare sulle tematiche ambientali, perché si finisce per colpire solo quella parte di società che è già coscia di queste problematiche. Meravigliosi testi come Hidden Life of Trees (2016) di Peter Wohlleben—che nonostante non sia un testo scientificamente corretto al 100%, è una efficacissima rappresentazione della vita degli alberi da un punto di vista non-antropocentrico—sono esempio di testi che trattano di ambiente senza essere eccessivamente in your face. Un altro importante esempio è il lavoro di Jeff VanderMeer, che—sulla scia di H.P. Lovecraft—scrive libri di fantascienza che hanno sempre sullo sfondo una forte componente ecocritica o generalmente molto attenta al nonumano.
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