Il cambiamento climatico sta già avendo dei visibili effetti sul mondo. Con l’aumento della temperatura e le modifiche all’andamento delle precipitazioni, aumenta notevolmente il rischio di ondate di caldo, alluvioni, incendi, siccità. Il verificarsi di questi eventi atmosferici mette anche a rischio la salute umana. Molte persone saranno costrette a lasciare le proprie case, poiché le zone in cui si trovano diventeranno inospitali per la loro sussistenza.
Nei giorni scorsi l’uragano Iota si è abbattuto sul Nicaragua, causando devastazioni e l’evacuamento immediato di 60 mila persone. Fenomeni del genere sono sempre esistiti a queste latitudini, tuttavia a causa del cambiamento climatico si ripresentano con maggiore frequenza e forza distruttiva. L’uragano Iota è il trentesimo di questa stagione e si è classificato come uno dei più potenti, raggiungendo una potenza di 4 su 5 sulla Scala Saffir-Simpson, la scala di misurazione dell’intensità di un uragano.
Le conseguenze del cambiamento climatico non saranno soltanto ambientali, ma avranno ripercussioni a livello politico, geografico e demografico. Piogge torrenziali e siccità rendono progressivamente i luoghi meno ospitali, creando ostacoli anche alle coltivazioni. L’ostacolo principale è proprio l’aumento della frequenza di tali fenomeni, in luoghi già fragili. È proprio questo l’elemento che, a lungo andare, potrebbe spingere le persone a lasciare la propria terra.
Tra le conseguenze umane dei cambiamenti climatici potrebbero esserci migrazioni di massa, che porterebbero ad un cambiamento nella distribuzione geografica delle popolazioni. La migrazione è infatti una delle risposte adattative spontanee al verificarsi di situazioni inconfortevoli.
Sebbene siano i paesi più sviluppati ad emettere il maggior numero di gas climalteranti, (e da cui dipendono le azioni di mitigazione del clima!), saranno i paesi in via di sviluppo a soffrire maggiormente gli effetti del cambiamento climatico, dove la capacità di adattamento è minore. Il miglioramento dello sviluppo umano e delle condizioni di vita nelle aree più colpite dovrebbe essere una priorità insieme alla mitigazione del clima[BI1] .
Un rapporto pubblicato il 4 maggio sulla rivista scientifica americana Proceedings of the National Academy of Science (Pnas) (2) ha analizzato la distribuzione della popolazione, fornendo previsioni sulla sua evoluzione in vista dei diversi scenari futuri di cambiamento climatico. Per migliaia di anni, le popolazioni hanno preferito concentrarsi in fasce climatiche favorevoli allo sviluppo umano, caratterizzate da temperature medie di 13°C. Le condizioni climatiche favorivano l’evoluzione demografica, nonché le coltivazioni e gli allevamenti. Si stima che, entro il 2050, da 1 a 3 miliardi di persone si ritroveranno esclusi da questa fascia climatica favorevole. Infatti, un terzo della popolazione sperimenterà temperature medie superiori a 29°C, corrispondenti alle attuali temperature del deserto del Sahara.
Pertanto, abitanti di paesi con una combinazione di basse capacità di adattamento, bassa disponibilità di risorse ed ecosistemi fragili si ritroveranno sottoposti ad uno stress climatico tale da fargli considerare di migrare. La maggioranza dei migranti climatici potrebbe provenire dalle zone rurali, dove la loro sussistenza è strettamente legata alle caratteristiche climatiche, influenzando settori come l’agricoltura e la pesca. Tuttavia, anche la popolazione che vive nelle aree costiere densamente popolate si ritroverà a dover fronteggiare l’innalzamento del livello del mare.
L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) ha coniato la definizione di migrante climatico
I migranti climatici sono persone o gruppi di persone che, per motivi impellenti di cambiamenti improvvisi o progressivi dell’ambiente che influiscono negativamente sulla loro vita o sulle loro condizioni di vita, sono costretti a lasciare le loro case abituali, o scelgono di farlo, temporaneamente o permanentemente, e si spostano all’interno del loro paese o all’estero.
Non ci sono al momento stime precise sul numero di migranti climatici attuali, né sull’evoluzione futura del fenomeno. Ciò è dovuto alla difficoltà nell’individuare le cause della migrazione e nel tracciare i dati. inoltre, molto spesso questi paesi sono già caratterizzati da un’instabilità politica ed economica oppure si trovano in zone di conflitto.
Il clima è quindi una delle ragioni, ma non l’unica determinante nella scelta di migrare. Inoltre, c’è anche una percentuale di migrazione interna al paese stesso, difficile da monitorare.
Secondo la previsione più ampiamente accettata, per il 2050 sono previsti 200 milioni di migranti climatici. Ma ci sono migrazioni già in atto a livello mondiale e interessano anche i paesi europei. In Europa, infatti le catastrofi ambientali si sono quadruplicate dal 2016 al 2019. I primi paesi europei interessati da sfollamenti negli ultimi dieci anni sono la Bosnia and Erzegovina, ma anche Spagna, Germania e Francia. Paesi con condizioni socioeconomiche completamente differenti.
L’entità delle migrazioni dipenderà da quanto velocemente agiremo, riducendo le emissioni di gas serra. Numerosi scenari sono stati formulati sui probabili, possibili o certi effetti del cambiamento climatico. Ciò che è certo è che alcuni effetti si verificheranno con certezza, anche se arrestassimo domani le emissioni di gas serra. Secondo l’IPPC, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, entro la fine di questo secolo, il riscaldamento potrebbe potenzialmente raggiungere i 4 ° C, forse di più.
Sono fondamentali azioni efficaci da parte dei governi mondiali, anche per tutelare i numerosi migranti climatici di oggi e domani. La migrazione potrebbe infatti rappresentare una minaccia oppure un’opportunità di crescita. Non soltanto per i migranti, ma anche per la società che li accoglie.
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