In conversazione con Alice Viganò esperta in trasporto intermodale EU e pricing per trasporto stradale IT.
Che cosa è in poche parole la logistica? Considerando l’importanza della supply chain management (SCM) nel mondo globalizzato nel quale viviamo, quanto e come è necessario sondare le possibilità di una logistica più sostenibile?
All’interno di un’azienda, chi si occupa di logistica ha l’arduo compito di organizzare, pianificare e implementare un sistema di gestione della merce che sia il più efficace (il più proficuo) ed efficiente (al minor costo) possibile; gli ambiti logistici principali sono il trasporto e la gestione magazzino.
In passato, le aziende manifatturiere consideravano i servizi di logistica come marginali rispetto al core business. Oggi, invece, la logistica viene considerata parte integrante e fondamentale della SC, in quanto è presente in ogni step della catena, catena che diventa sempre più globale e complessa. Si pensi per esempio a un oggetto apparentemente semplice come una pallina da tennis: si stima che prima di arrivare a Wimbledon, la pallina attraversi 11 Paesi e percorra 50.570miles (oltre 81.300km). Le materie prime che la costituiscono, infatti, confluiscono da Paesi come Cina, Nuova Zelanda e Grecia, fino alle Filippine per l’assemblaggio; le palline vengono poi confezionate in Indonesia e soltanto infine spedite in UK. Questo complesso sistema di trasporti e gestione della merce è il metodo più efficiente per la produzione di una pallina da tennis, così come di tantissimi altri oggetti della nostra quotidianità. La logistica è quindi il motivo per cui gli oggetti che ci circondano sono arrivati nelle nostre case.
Il complesso contesto di trasporti e gestione della merce che è dunque la logistica è ESSENZIALE per la catena produttiva di un’azienda; è per questo motivo che è necessario integrarla all’interno del SCM, così che un’azienda possa avere una visione di insieme di tutte le proprie attività, dalla produzione alla distribuzione. Solo a questo punto è possibile rendere più snello, più efficiente, più veloce e più “green” un sistema industria.
Per potersi definire sostenibile, un’azienda non può limitarsi a azioni di sostenibilità ambientali circoscritte (a esempio la gestione dei rifiuti), ma deve pianificare TUTTA la SC, all’interno della quale anche la logistica, in un’ottica green di sostenibilità. Si tratta di un processo complesso e di una visione che richiederà tempo e denaro per essere implementata.
Si sente parlare in questi mesi di Recovery fund e di economia circolare, e sappiamo che una cospicua parte della ricostruzione post-pandemia riguarderà la transizione ecologica. In quest’ottica, in che modo una logistica più green potrebbe essere concreta nel nostro paese? Quali gli scenari possibili?
Sostenibilità e ambiente sono oggi temi di vitale importanza, per il nostro presente ma soprattutto per il futuro delle generazioni successive. In tale contesto, la logistica sta sviluppando soluzioni “green”. Nella tecnologia dei motori, per esempio, nel trasporto navale, nel 2020 è stata costruita la prima nave container a LNG (Liquified Natural Gas), entrante a far parte della flotta del colosso CMA CGM, in grado di produrre il 20% in meno di C02 rispetto a un motore tradizionale. Per il trasporto stradale, invece, è il motore elettrico il principale trend.
Queste sono le principali tecnologie in sviluppo; a mio parere, però, sono ancora poco implementate nel settore dei trasporti e è difficile che riescano a fare la differenza nel breve-medio termine. Altre soluzioni più operative/pratiche possono invece portare a risultati più evidenti, tra cui il passaggio dal trasporto stradale tradizionale al trasporto intermodale, in grado di utilizzare più modalità di trasporto combinate. L’utilizzo dell’intermodale in EU, in particolare, prevede il trasporto ferroviario per la tratta più lunga del viaggio, in grado di ridurre sia costi di trasporto che emissioni di CO2 in modo consistente rispetto al trasporto stradale. Un ruolo fondamentale verso una logistica green può quindi essere giocato dalle INFRASTRUTTURE. È per questo motivo che EU e IT prevedono investimenti in reti infrastrutturali su tutto il continente. In Italia, in particolare, la bozza del recovery fund prevede infatti che 32 miliardi di euro saranno usati per lo sviluppo dell’alta velocità (AV), la realizzazione del Piano “Porti d’Italia” e la digitalizzazione di aeroporti e sistemi logistici.
Parlando di futuro non tanto lontano, molti paesi tra cui gli Stati Uniti in primis ma anche Asia e Nord Europa (mi riferisco per esempio alla Volvo svedese) premono sullo sviluppo e uso di tir elettrici e a guida autonoma. In una logica di trasporto multimodale a impatto zero nella catena di produzione si avrebbero sostanziali benefici nelle immissioni e forse una più semplice organizzazione delle tratte delle merci. Lei cosa ne pensa? Il futuro sarà davvero elettrico e automatizzato?
Credo che l’elettrico abbia un enorme potenziale nel trasporto sia di merci che di persone. Un potenziale che, però, potrà essere espresso a pieno soltanto negli anni, forse decenni a seguire. Aziende innovative come Volvo, infatti, premono sì sull’elettrico e sul self driving; a mio parere, l’utilizzo di tali tecnologie può però essere vantaggioso e, soprattutto, effettivamente realizzabile sia da un punto di visto operativo che normativo solo in ambiti circoscritti e limitati. Se un tir elettrico Volvo può muoversi liberamente sul territorio svedese, non è detto che possa fare lo stesso in altri Paesi, soprattutto dal punto di vista delle infrastrutture (se non sono presenti le torrette per il caricamento delle batterie, il viaggio non può proseguire); difficile, quindi, pianificare lunghe tratte. Ancora più lontano l’orizzonte dell’automatizzato e del driverless in particolare.
L’automatizzato, invece, ha a mio parere più potenziale nel settore del green warehousing (il green nei magazzini). È qui, infatti che automatizzare può effettivamente essere sinonimo di miglioramento nella gestione delle merci e dei relativi flussi, riduzione degli sprechi e ottimizzazione dei percorsi e dei layout interni.
In generale, è la tecnologia dell’intelligenza artificiale che, secondo me, ha il potenziale maggiore nell’intero settore della logistica e specialmente dei trasporti in termini “green”. Molti non sanno, infatti, che il materiale più trasportato al mondo non è il grano e non è la famosa carta igienica che ha riempito i container durante la pandemia: è aria. Se pure pieni verso una destinazione, i container in viaggio sono spesso vuoti in direzione contraria (generalmente Est-Ovest e vuoti o semi vuoti Ovest-Est), portando sostanzialmente ad elevati costi sia per il business che per l’ambiente. L’intelligenza artificiale e l’utilizzo di complessi algoritmi potrebbe, a mio parere, contribuire a migliorare la pianificazione del trasporto merce, così da ridurre il trasporto a vuoto, rendere più efficienti i trasporti e ridurre costi ed emissioni.
Lei è una donna in un ambiente, quello della logistica appunto, che sembrerebbe prettamente maschile. È reale questa percezione esterna oppure no? Perché ha scelto questo campo per specializzarsi, cosa le piace del suo settore?
In Italia, il settore dei trasporti e della logistica è effettivamente principalmente maschile, soprattutto nelle aziende di minori dimensioni. Nelle grandi multinazionali, invece, la presenza femminile è certamente maggiore; il team di ingegneria dei trasporti di cui ho fatto parte, per esempio, è per l’80% costituito da donne; non è invece possibile dire lo stesso di posizioni manageriali di alto livello, tutte occupate da uomini. Sono però convinta (o forse più ottimista) che la strada verso la parità di genere in questo settore in Italia sia ben avviata. All’estero, la strada percorsa è nettamente più lunga e la percezione di logistica come settore prettamente maschile è meno evidente. In Finlandia, per esempio, il personale dell’azienda di trasporti per cui ho lavorato era 50% donne e 50% uomini.
Se pur sia complesso e articolato, ho deciso di specializzarmi in questo settore perché è dinamico, in perenne evoluzione, stimolante, coinvolgente e letteralmente un settore sempre in movimento. Inoltre, i risultati del trasporto sono concreti e visibili nella vita di tutti i giorni: è uno di quei pilastri che da dietro le quinte rendono la nostra vita possibile.
Ha migliorato i suoi studi tra gli Stati Uniti, Australia, Germania, Sudafrica, lei è il prodotto di quel fenomeno di emigrazione che accomuna molti italiani. Dal suo punto di vista, quale paese è più sensibile a una logistica green? E l’Italia in quale profilo la posizionerebbe?
Maestri in ambito di ambiente e sostenibilità sono senza dubbio i Paesi del Nord Europa; questa eccellenza trova fondamento, a mio parere, in un fortissimo senso civico e rispetto dell’altro e degli spazi comuni. Sembra un gioco di parole, ma è proprio in Paesi dove la natura gioca un ruolo preponderante che diventa più “naturale” prendersene cura. Per quanto riguarda la green logistics in Finlandia, uno studio dell’università di scienze applicate di Lahti ha infatti dimostrato che per le aziende finlandesi è consueto e ritenuto di grande importanza (su una scala di 5 livelli, il livello più alto), sia da clienti che da dipendenti, stabilire ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni e implementare pratiche di logistica green.
In Italia, il livello di importanza attribuito a tali pratiche è certamente inferiore e si tratta di un tema meno sentito; spesso le aziende si limitano a rispettare le normative in atto, ad esempio, di waste management o data collection, ma è difficile che facciano “più del necessario”. Credo, invece, che altri aspetti tipici della green logstics siano considerati più importanti sia da aziende che da utenti, tra cui il green packing, a cui numerose aziende prestano oggi più attenzione (come possiamo notare in molti prodotti di largo consumo). A mio parere, l’Italia non è oggi tra i Paesi con la logistica più green, ma con una spinta anche normativa può raggiungere buoni risultati.
Sembrerebbe un paradosso per una che si occupa di pianificare e gestire spostamenti di merci in flussi globali vivere un momento di chiusura come questo dettato dalla pandemia. Cosa le manca di più del mondo pre-Covid e quale sarà la prima cosa che avrà voglia di fare appena tutta questa storia sarà finita?
In questo imprevedibile contesto di pandemia, il paradosso più grande è per me dato dal fatto che l’impossibilità degli individui di spostarsi abbia fatto crescere esponenzialmente il movimento delle merci. Ciò che non possiamo andare a comprare, lo “facciamo arrivare”. La logistica è infatti uno dei pochi settori che ha tratto vantaggio dalla pandemia, soprattutto la logistica legata all’e-commerce; ne è esempio il colosso Amazon che ha registrato crescite di vendite fino al 40% nel 2020 in più rispetto all’anno precedente. La pandemia ha quindi forse contribuito a mettere un po’ di più sotto i riflettori il settore della logistica e ha dimostrato quanto Paesi agli estremi del mondo possano essere connessi e dipendenti l’uno dall’altro.
Personalmente, dopo più di un anno di studio e lavoro da casa, non vedo l’ora di poter rivedere senza preoccupazioni amici e parenti e tornare in ufficio e lavorare a contatto diretto con i miei colleghi. Il mio percorso di vita mi ha portato a vivere all’estero per molti anni, quindi posso considerarmi “abituata” a amicizie e affetti a distanza, ma una chiusura totale rende tutto ancora più difficile. Potersi finalmente abbracciare e vedere i sorrisi dei cari non nascosti dalla mascherina è di certo il desiderio più grande; sarà anche merito della logistica del settore sanitario che questo desiderio si realizzerà per tutti noi, spero al più presto.
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