Per far fronte alle nuove necessità di mercato post Covid19 e per un ritorno di benessere in termini ecologici il brand Two point Two ha un nuovo imperativo: riciclo e impatto zero.
Incontriamo la stilista, Anvita Sharma, nello showroom di Shahpur Jat a New Delhi, nel brulicante quartiere del commercio dove molti giovani stilisti hanno spostato le proprie imprese attratti da una realtà in crescita. A due passi da Hauz Khas, il quartiere più noto della movida e quello più apprezzato anche dagli internazionali, nella regione sud di una capitale che conta più di venti milioni di abitanti conosciamo la filosofia di questo brand che si fa già strada in ambito internazionale.
FL: Cosa significa per una donna fare impresa in India? Quali sono i maggiori ostacoli incontrati?
Anvita Sharma: Negli ultimi tempi il numero delle donne imprenditrici è in crescita in India. Tuttavia, in relazione al numero di popolazione attiva è ancora inferiore il numero delle donne rispetto alla controparte maschile, ma sono fiduciosa che le cose cambieranno. A differenza dell’Europa il settore della moda in Asia è ancora dominato dagli uomini che sono la maggior parte degli artigiani, ricamatori, modellisti, assistenti designer che potresti incontrare in queste aziende. A volte essere presa sul serio come capo in quanto donna è più difficile ma questo fa parte del gioco. Le sfide ci rendono migliori.
FL: Leggendo il suo cv la sua formazione è impeccabile Milano, Parigi, Londra, sfilate internazionali e anche un premio vinto per Vogue talent. Quanto l’immagine di un brand si traduce in vendite? La formazione internazionale l’ha aiutata o no?
Anvita Sharma: Il merito dell’estetica di Two Point Two va alla mia formazione internazionale. Sono sempre stata affascinata dalla moda europea anche da bambina. Certo con gli studi alla Marangoni di Milano e Parigi ho affinato il mio gusto, e la gente che ho incontrato mi ha dato una direzione più incisiva non solo per il mio brand ma anche come persona. L’immagine non è tutto, anzi può essere una trappola. L’immagine soprattutto nella moda è artificio, è una costruzione. Mi piace pensare che i miei clienti non comprino immagini o status sociali ma che credano nella nostra filosofia all-inclusive. La globalizzazione sta erodendo sempre più le differenze tra occidente e oriente e questo è triste, ma se c’è spazio per un nuovo cliente futuro, spero che sia più consapevole e libero dai giochi di mercato.
FL: La moda dopo l’ascesa dei low-cost brands ha massimizzato i profitti con la velocizzazione della produzione. I ritmi così rapidi di produzione (diverse collezioni in un anno) in che modo ostacolano non solo la creatività ma anche il rispetto dei cicli produttivi?
Anvita Sharma: Two Point Two non segue questi rapidi ritmi di produzione. Noi creiamo due collezioni all’anno e siamo un marchio su ordinazione. Questa è una scelta consapevole al fine di ridurre gli sprechi di produzione. Nei marchi low-cost la qualità viene sacrificata per la velocità. Si perde l’aspetto emozionale del capo e la sopravvivenza del prodotto è pressoché nulla. Non ho mai amato la pressione che ti obbliga a produrre sempre qualcosa di nuovo a ritmi stressanti. La creatività e la salute mentale per noi valgono di più.
FL: È indubbio che l’India stia pagando un caro prezzo in termini di inquinamento ambientale, la maggior parte dei brands internazionali produce e colora i capi in industrie indiane, secondo lei qual è il rapporto giusto tra incremento dell’economia e sostenibilità?
Anvita Sharma: Sì, molte aziende tessili internazionali colorano i propri capi in India, molte a Delhi anche. La colorazione industriale oltre a essere un processo molto inquinante mostra l’ingiustizia sociale tra i paesi occidentali e quelli non. Anche se il colonialismo politico è superato, queste pratiche mostrano come per poter lavorare, la gente sarebbe disposta a sacrificare anche il proprio patrimonio naturalistico. La questione è spinosa, e non si può additare il diritto al lavoro e al sostentamento della propria famiglia. Per il bene ambientale c’è bisogno di un’educazione all’ecologica che molto spesso in India manca. Trovo però che sia davvero sconcertante che colossi occidentali per ridurre il costo della manodopera siano indifferenti a queste nuove pratiche di colonialismo. Il rapporto giusto risiede proprio nella parola giustizia e il capitalismo di per sé presuppone che il benessere di pochi si crei sulle spalle di moltissimi altri. Dovremmo cercare insieme di riscrivere le nostre storie economiche.
FL: Lei è figlia della globalizzazione, è bilingue, ha studiato in Uk economia poi moda nelle più importanti città europee del settore. Vivere e formarsi tra Europa e Asia cosa le ha insegnato? Quale consiglio darebbe per le nuove generazioni?
Anvita Sharma: Sono stata molto fortunata ad aver avuto una così vasta gamba di esperienze che mi hanno fatto valicare confini geografici e culturali. Perdersi in altre lingue lo trovo affascinante, anche solo conoscendo poche frasi si può intravedere tanto nel modo di vivere degli altri. La cosa più utile che ho imparato in Europa è la cultura del lavoro, il rigore delle scadenze e la consegna dei risultati con la massima puntualità. Sopravvivere a culture diverse non è facile ma è possibile. Ho amato molto anche l’aspetto pratico dell’istruzione europea e l’energia degli studenti soprattutto nelle città d’arte dove sembra più facile abbandonare la paura dell’ignoto e cimentarsi nelle sfide seguendo i propri sogni. Certo so che non tutti hanno le stesse possibilità e questo è ingiusto ma la globalizzazione non ha solo effetti negativi, in qualche modo internet democraticizza le esperienze. Alle nuove generazioni consiglierei di essere altrove, di guardare sempre l’altro, dal vivo o anche su uno schermo di un telefono. Di essere curiosi!
FL: Il virus ha messo in ginocchio le economie mondiali e molte aziende medie sono in crisi mentre i colossi del lusso hanno mantenuto gli stessi profitti se non aumentati. Ecco in questo cortocircuito perché secondo lei la piccola-media impresa subisce sempre di più?
Anvita Sharma: Il virus ha mostrato al mondo che nulla è invincibile. Ha fatto sentire alle economie globali il bisogno di un cambiamento drastico. Specialmente con i beni non essenziali, le industrie hanno dovuto affrontare ristrutturazioni radicali per sopravvivere. I giganti del lusso hanno mantenuto alti i margini di profitto perché godono di sistemi consolidati che si sostengono a vicenda. Questo mostra le iniquità di fare impresa, i grandi nomi hanno sempre in qualche modo una scialuppa di salvataggio. Per le piccole e medie imprese questa transizione richiederà più tempo e alcune aziende stanno ancora cercando di inventarsi un modo per far fronte alle perdite.
FL: Gender-gap, mascolinità tossica, bodyshame, desessualizzazione, la sua etichetta Two point Two vorrebbe rovesciare tanti stereotipi e ingiustizie sociali che imperversano nel nostro tempo. La moda può rispondere a una domanda così alta? Rompere i vecchi modelli creandone di nuovi non è in fondo sempre una strategia di marketing?
Anvita Sharma: La moda non è altro che una piattaforma che gode di una vasta gamma di pubblico. Ognuno può utilizzare questa visibilità come meglio crede. Personalmente ho sempre creduto che i vestiti fossero qualcosa di più che semplici indumenti. Avevo alcune cose da dire e quindi Two point Two è la mia voce in merito a questioni di giustizia sociale che soprattutto in India faticano a essere ascoltate. I vestiti vengono utilizzati da tutti perché essenzialmente hanno una funzione ben precisa quella di proteggerci, ma non solo, hanno il compito di comunicare agli altri un messaggio. Questi messaggi sono veicolati dal pensiero dominante del patriarcato che tende a categorizzare. Cresciamo in una società che ci educa a un binarismo stereotipato. La mia etichetta cercando di vincere questa abitudine mentale, ponendosi di essere all-inclusive, vuole provare a sovvertire le norme di potere e di giudizio dominanti. Certo è un proposito molto ambizioso, ma tutti ci stiamo muovendo in questa direzione e ne sono felice. Il vento sta cambiando.
FL: L’India è il trionfo del colore ma se lei potesse sceglierne solo uno quale sarebbe?
Anvita Sharma: Beh basta guardarmi! [ride…] [Indossa un outfit all black]. Il nero che non è per niente un colore indiano, ma lo trovo modesto e altero allo stesso tempo. Pieno di contraddizioni come piace a me.
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