Un paio di mesi fa, abbiamo parlato di come l’industria tessile sia tra le industrie più inquinanti al mondo – vedi l’articolo “L’ abito inquina?“. Inizialmente, Mattia Franchetti ci ha spiegato come consumismo e capitalismo ci abbiano condotti al fast fashion e a tutto ciò che esso comporta, per parlarci, infine, di alternative sostenibili. Tra queste un ruolo sempre più rilevante è ricoperto dal mercato dell’abbigliamento usato e vintage. Ed è qui che si inserisce la storia di cui vogliamo parlarvi oggi, quella dell’organizzazione umanitaria Humana People to People Italia che di questo mercato ha fatto il suo carburante per rispondere all’inquinamento, ma soprattutto per finanziare progetti di cooperazione allo sviluppo in Africa, Asia e America Latina. Per raccontarvela abbiamo intervistato Laura di Fluri, la responsabile Marketing & Communication.
Cos’è Humana People to People Italia? Quali sono le attività di cui si occupa?
Humana Italia è parte della Federazione Humana People to People che nasce negli anni 70, come risposta alle disparità economiche e sociali del Global South, in Danimarca. Dopo un viaggio in India all’insegna della conoscenza, in cui un gruppo di insegnanti e studenti toccò con mano l’estrema povertà economica e sociale del paese, si sentirono in dovere di mobilitarsi per cambiare le cose. È così che nacque Humana People to People.
Poiché la mission della Federazione è quella di finanziare progetti di cooperazione internazionale attraverso un modello di economia circolare, Humana cercò fin da subito di autofinanziarsi attraverso la vendita di oggetti usati, solo in un secondo momento iniziò a specializzarsi nell’abbigliamento usato e vintage.
Laura ci tiene a spiegarci che, mentre alcuni operatori dell’abbigliamento usato si occupano soltanto di una delle fasi della raccolta differenziata del tessile, Humana Italia si occupa dell’intera filiera.
Come si articola la filiera di abbigliamento usato di Humana Italia?
Sulla filiera dell’abbigliamento usato, è importante fare una premessa:
Quando si parla di abiti usati, per la normativa italiana, si sta parlando di rifiuti a tutti gli effetti. Dunque, si tratta di una frazione della raccolta differenziata paragonabile alle altre – plastica, vetro, carta e via dicendo – per quanto ne riguarda la complessa gestione.
Quindi, il lavoro di Humana è davvero trasversale e completo. Si occupano della raccolta degli indumenti usati, attraverso i contenitori che troviamo nelle città in cui operano, dello stoccaggio nei loro impianti – ne contano sei che coprono più o meno il centro-nord Italia – la selezione, lo smistamento e infine la vendita.
Una volta svuotati i contenitori di raccolta, come funziona il processo di selezione dei capi?
Come abbiamo detto Humana possiede 6 impianti che gestiscono la filiera. Cinque di questi sono solo di stoccaggio, cioè possono essere usati solo come “magazzini” in cui depositare i rifiuti tessili in attesa che siano smistati. La fase di selezione avviene nell’impianto di Humana che si trova in provincia di Milano, a Pregnana Milanese, presso le consorelle di Humana in Europa o in altre aziende italiane.
Qui, nell’impianto vicino Milano, ogni giorno 35 dipendenti si occupano della selezione degli abiti raccolti e li smistano in circa 40 categorie diverse. Ad esempio, in base alla qualità degli indumenti, al tipo di capo (es. capi leggeri, invernali o vintage) e al tipo di materiale. A livello macro, circa il 65% del materiale raccolto è riutilizzabile, il 25% è riciclabile e il 10% viene avviato a termovalorizzazione.
Che differenza c’è tra un capo riutilizzabile e uno riciclabile?
Riutilizzabile è quel capo ancora in ottime condizioni che si presta ad avere una nuova vita. Il capo riciclabile è invece quell’indumento troppo rovinato per essere riutilizzato da qualcuno, ma che può essere ancora sfruttato per il suo materiale.
Humana predilige capi riutilizzabili o riciclabili?
È la quota riutilizzabile che fa stare in piedi l’economia dell’attività. Soprattutto, la sottocategoria del vintage è quella più importante per Humana perché va ad alimentare maggiormente le vendite nei negozi.
Tuttavia, trovarlo nei nostri contenitori è sempre più difficile perché le persone sono sempre più abituate a comprare indumenti della fast fashion.
La quota riciclabile, purtroppo, o non produce guadagno, o addirittura diventa una spesa. Infatti, riciclare un indumento è un costo piuttosto che un guadagno. Anche la quota degli scarti, essendo destinata a termovalorizzazione, è una spesa perché Humana deve pagare il costo dello smaltimento. Si consideri, che diversamente dagli altri operatori di rifiuti, Humana non viene pagata per svolgere il servizio di raccolta.
Gli indumenti classificati come da “riutilizzare” finiscono tutti nei negozi di Humana Second Hand o di Humana Vintage?
Non tutto, una parte di abiti estivi in buono stato, che noi chiamiamo tropical mix, viene, invece, donata da Humana Italia alle consorelle di Humana del sud del mondo, ad esempio, in Mozambico e in Malawi. Anche qui i capi vengono selezioni e venduti in negozi Humana.
Qualcuno potrebbe obiettare: “perché rivendere e non donare”?
Aprire negozi e vendere abiti, invece che donarli, significa creare posti di lavoro. Se donassimo semplicemente abiti, faremmo solo assistenzialismo, ma non potremmo mettere in moto un processo di sviluppo nell’economia locale e dare vita a un vero e proprio sistema produttivo. A questo proposito è importante sensibilizzare chi dona i propri abiti sul loro percorso e sul motivo di questa scelta. Succede spesso che alcuni siano convinti di donare gli indumenti che lasciano nei nostri contenitori di raccolta direttamente ad altri più bisognosi, ma quando spieghiamo loro le ragioni per cui preferiamo non farlo, ne comprendono benissimo l’importanza.
E i capi della categoria “da riciclare”?
Un piccolo quantitativo di tessuti è destinato alla cooperativa sociale “Occhio del Riciclone“, che con il marchio Belt Bag realizza borse e accessori attraverso tecniche artigianali di upcycling.
Mentre il resto del materiale viene ceduto ad aziende specializzate nel riciclo che possono trasformarlo in pezzame industriale, pannelli fono assorbenti, oppure, solo per alcune fibre naturali come il cotone o la lana, è persino possibile ricostruire i filati.
Nell’abbigliamento da anni vediamo come il fast fashion abbia trasformato il settore causando un crescente inquinamento, per non parlare di tutte le questioni sociali connesse. Cosa significa in questo contesto trattare l’abbigliato usato? Quali sono le difficoltà di questo settore?
La difficoltà di Humana è che la quantità di abiti usati raccolti cresce, ma la qualità dei capi è costantemente inferiore a causa del dilagare del fast fashion. Così la quantità di materiale riutilizzabile si assottiglia sempre di più. Anche riciclare diventa sempre più difficile perché i capi sono spesso composti da un misto di fibre differenti che sono difficili da separare, è il caso delle fibre sintetiche. Invece, le fibre naturali sono più semplici da riciclare. Stiamo subendo le conseguenze del settore che non pensa all’eco-design e al fine vita dei prodotti che produce, ma qualcosa nei consumi e nelle legislazioni in Europa sta piano piano cambiando, cerchiamo di essere positivi!
Fin da subito ci hai raccontato di come Humana Italia, in quanto ONLUS, sia nata per finanziare progetti di cooperazione allo sviluppo. Dove si indirizza il ricavato dei negozi di Humana? Quali sono i progetti principali? Occorre fare una precisazione. Dal punto di vista giuridico, Humana Italia si articola in due entità separate (Humana People to People Società Cooperativa a r.l e Humana People to People Italia ONLUS), entrambe senza scopo di lucro, che operano congiuntamente per sostenere gli interventi di cooperazione internazionale nel Sud del mondo e tutte le azioni sociali e di sensibilizzazione in Italia.
L’attività di raccolta e avvio a recupero degli abiti usati è un’attività che rende necessaria l’articolazione dell’organizzazione in due enti separati: da un lato Humana Scarl che, operativamente, gestisce il servizio di raccolta abiti e Humana ONLUS che, come da Statuto, reimpiega gli utili derivanti dall’attività di recupero e vendita dei vestiti di Humana Scarl a favore di progetti sociali. Al netto dei costi dell’attività, la parte restante va a finanziare vari progetti di cooperazione internazionale come da mission.
Detto ciò, per quanto riguarda i progetti, gli ambiti di intervento di Humana sono molteplici: prevenzione di HIV/AIDS, Malaria e TB, agricoltura e sicurezza alimentare, istruzione ed educazione, sostegno all’infanzia e allo sviluppo comunitario. Tra questi, però, sicuramente il tema dell’istruzione è quello più importante, d’altronde Humana, come abbiamo detto prima, nasce proprio da insegnanti e da studenti. È un po’ come se fosse il filo rosso che lega tutti i nostri progetti, e si sviluppa su ogni livello di istruzione, dall’asilo fino all’università.
Per saperne di più sui progetti di sviluppo di HUMANA People to People Italia visitate la sezione del sito qui.
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