Recensione del libro “Vestire buono, pulito e giusto” di Dario Casalini
Qual è stato l’ultimo libro che hai letto e che ha cambiato il tuo modo di vedere?
Il mio è “Vestire buono, pulito e giusto” di Dario Casalini.
Prima di leggere questo libro, pensavo di sapere quello che c’era da sapere sulla fast fashion. Oggi capisco che ci sono infiniti aspetti che non conosciamo e non consideriamo.
Questo libro cambia il tuo approccio all’acquisto perché risponde in modo brutale e diretto alla domanda: “Cosa c’è davvero dietro un articolo di abbigliamento che costa poco?”
Se ti interessa quindi capire davvero la situazione te lo consiglio. Intanto qui ti riporto alcuni spunti di riflessioni che, sono certa, non ti lasceranno indifferente.
Partiamo con qualche numero
Tutti ormai conosciamo l’impatto della fast fashion a livello ambientale. Ma se ti dicessi che oggi l’industria tessile genera il 10% (10!) di emissioni di CO2 e i processi tintoriali sono la seconda causa di inquinamento delle acque?
Molti prodotti (di fascia bassa in particolare) sono indossati al massimo 7-8 volte, prima di essere buttati.
Tra il 2000 e il 2021 la vita media dei capi è dimezzata, la produzione di abbigliamento è raddoppiata e il numero di capi acquistati è cresciuto del 60%.
In che mondo viviamo?
In un mondo dove si produce sempre di più.
Oggi quasi tutti i marchi sono passati dalle classiche due collezioni (primavera/estate e autunno/inverno) ad almeno cinque all’anno. Per i grandi brand si arriva anche a una o addirittura due collezioni al mese. L’importante è che l’offerta sia sempre aggiornata.
I negozi sono spazi studiati per incentivare l’acquisto.
I commessi sono sempre meno formati sul prodotto e sulla sua produzione. Non c’è nessuna storia da raccontare, anzi, meno si racconta meglio è.
E noi?
Noi siamo sempre meno clienti e sempre più consumatori. Non acquistiamo per necessità e in modo consapevole, acquistiamo per moda, per noia, per mostrare ogni mese prodotti nuovi. E, spesso, privilegiamo il prodotto che costa meno.
Quindi, arriviamo alla domanda: cosa c’è dietro un prodotto che costa poco?
L’autore lo spiega in modo molto chiaro. Prendiamo per esempio due magliette di cotone: una costa 10 e l’altra 3.
La prima è composta da cotone di provenienza certificata e biologica ed è stata tessuta, tinta, confezionata in Italia. Pagando 10 paghiamo la remunerazione giusta di chi l’ha prodotta nelle diverse fasi, i costi di manutenzione dei luoghi di lavoro volti a garantire la totale sicurezza e quelli di corretto smaltimento delle acque.
La maglietta che costa 3, invece, è composta da cotone dalla provenienza imprecisata ed è stata prodotta in Asia da lavoro sottopagato svolto in condizioni pericolose. Le sostanze chimiche utilizzate sono vietate in Europa perché nocive. Tutti gli agenti inquinanti sono stati rilasciati nell’aria o riversati nel fiume più vicino.
A conti fatti, quindi, quanto costa davvero la maglietta che paghiamo 3?
I restanti 7 sono costi ambientali e sociali pesanti, che impattano sull’ambiente, sulle persone, sui bambini.
Come scegliere: informarsi e non fermarsi alle apparenze
Sempre più spesso la comunicazione dei brand si focalizza sugli aspetti sostenibili della propria produzione e lancia prodotti, linee o collezioni eco-friendly.
“Francamente questo tipo di risposta non può soddisfarci” commenta Casalini nel suo libro. Mettere in risalto una piccolissima fetta di articoli attenta all’ambiente, per quanto giusta, resta comunque minoritaria rispetto alla restante e ampiamente maggioritaria normale produzione.
Non è sufficiente e, come consumatori, non dobbiamo accontentarci.
La strategia di concentrare tutta la comunicazione su una porzione infinitesima della produzione ha il solo scopo di apparire per ciò che non si è.
Che impatto può avere una borsa sostenibile se le restanti migliaia sono prodotte senza nessuna attenzione etica e sostenibile?
La fibra sintetica a contatto con la pelle
Il 7-8% delle patologie dermatologiche a livello nazionale è dovuto all’utilizzo di prodotti tessili. Il dato non stupisce se si pensa che non è insolito ritrovare residui di metalli pesanti (cromo, nichel, rame piombo e mercurio) negli indumenti prodotti in Paesi a basso costo di manodopera.
Le fibre sintetiche come poliestere e poliammide dominano il settore per una ragione molto semplice: hanno un bassissimo costo di produzione.
L’abbigliamento sintetico, oltre a essere nocivo, scarica ogni anno mezzo milione di tonnellate di microplastiche negli oceani, pari a circa 50 miliardi di bottiglie di plastica.
L’impatto della fast fashion per i lavoratori
Si stima che nel mondo vi siano oltre 36 milioni di schiavi impiegati nella filiera tessile. Di questi, moltissimi sono bambini.
Se indossando un capo prodotto illegalmente dal lavoro malpagato di uomini, donne, bambini potessimo sentire sulla nostra pelle l’ingiustizia, lo sfruttamento, la disperazione probabilmente faremmo scelte da subito differenti.
È importante informarsi sia sulla provenienza sia sulla filiera di produzione del capo.
È importante ricercare quelle realtà che si distinguono per una filiera davvero corta e che si dimostrano attente alla tracciabilità e alla trasparenza offerte.
Non restare indifferente davanti a questa realtà è un dovere di tutti. Informarsi per saper scegliere è un dovere etico e morale, non più una scelta.
Se ti interessa approfondire, qui puoi acquistare il libro.
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