Con l’avanzare della tecnologia e della scienza, l’uomo ha cercato nel tempo di controllare lo stato naturale imponendo le sue opere a scapito del rispetto della natura e di quell’equilibrio indispensabile per la sopravvivenza di tutti gli esseri viventi. Con le sue azioni l’uomo sta seriamente minacciando la biodiversità, la bellezza naturale e il paesaggio che caratterizzano la nostra madre terra.
Le Nazioni Unite hanno avvertito che su un totale di otto milioni di specie, un milione è a rischio di estinzione. Per perdita di biodiversità si intende “il declino o la scomparsa della diversità biologica, intesa come la varietà di esseri viventi che popolano il pianeta, i loro diversi livelli di organizzazione biologica e la rispettiva variabilità genetica, nonché i modelli naturali presenti negli ecosistemi”.
La biodiversità si riduce ad un ritmo sorprendente e, come possiamo immaginare, l’artefice di questo declino è principalmente l’attività umana. I cambiamenti climatici, l’inquinamento acustico, luminoso e atmosferico, la distruzione degli habitat (causata dall’inquinamento del suolo e dalla deforestazione), le specie esotiche invasive e l’eccessivo sfruttamento dell’ambiente naturale sono tra le principali cause della perdita di biodiversità.
In questo articolo ci concentreremo sulla seconda causa di perdita di biodiversità nel mondo secondo il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite UNDP: le specie esotiche invasive.
Le specie esotiche invasive sono organismi introdotti dall’uomo, accidentalmente o volontariamente, che, insediandosi in aree diverse da quelle di origine, causano gravi impatti sull’ambiente e sulla vita umana. Tra queste spicca in Europa “l’Acacia Dealbata”, meglio conosciuta come Mimosa. Queste specie agiscono come predatori, competono per il cibo, si ibridano con le specie autoctone, introducono parassiti e malattie e minacciano seriamente l’esistenza di molte specie ed ecosistemi nativi. Tuttavia, non tutte le specie introdotte – chiamate anche specie aliene – sono invasive e rappresentano una minaccia. Ci sono infatti specie che, pur introdotte in un certo ambiente, non sono in grado di adattarsi o diffondersi liberamente come ad esempio l’Arancio “Citrus × sinensi” (tra i tanti altri alberi da frutto che utilizziamo nella nostra alimentazione) o altre che possono consolidarsi e diffondersi senza danneggiare l’ecosistema, si pensi alla patata e al mais. Le specie autoctone, invece, sono specie di un particolare ambiente, che si sono sviluppate e manifestate naturalmente o che esistono da molti anni in una determinata area.
Sebbene l’invasione di ecosistemi consolidati possa essere un fenomeno naturale, negli ultimi anni l’uomo attraverso azioni quali il commercio di piante e animali esotici, il turismo, i trasporti e il commercio internazionale, ha aumentato la frequenza e la portata delle invasioni.
Non dimentichiamoci la scarsa consapevolezza della popolazione sull’uso e l’origine di alcune specie e le pratiche dei vivai tradizionali che, adattandosi al mercato, riducono la produzione di specie autoctone sostituendole con specie esotiche che spesso possono diventare invasive e minacciare l’intero sistema naturale. Molte volte la popolazione non conosce l’origine di alcune specie e abituate con il tempo ad averle nel loro giardini sono all’oscuro delle loro eventuali origini esotiche e/o invasive. Pensiamo ad esempio al Fico di Mare “Carpobrotus edulis” introdotto a scopo ornamentale dal Sudafrica che con il tempo si è sviluppata come specie invasiva.
È in questo spazio vuoto – creato da una mancanza di informazione e consapevolezza e da vivai tradizionali sempre più orientati al mercato che al rispetto della natura – che trova terreno fertile l’intervento di persone, associazioni e comunità che, nutrite da un forte spirito ambientalista, si impegnano a preservare le specie autoctone, a controllare quelle esotiche e a combattere le specie invasive.
Un esempio lodevole si può trovare guardando più lontano, in Portogallo. Per essere più precisi, diamo un’occhiata al lavoro svolto da Marca – ADL Organizzazione senza scopo di lucro, a Montemor-o-Novo. Tra le sconfinate colline dell’Alentejo ricche di querce e ulivi, Marca – ADL opera attivamente gestendo un ampio vivaio che produce specie autoctone del Portogallo.
Istituito nel 2015 nell’ambito del progetto LIFE-LINES – un progetto finanziato dal programma LIFE + della Commissione europea – vengono prodotte circa 150 specie di piante erbacee, arbusti e alberi autoctoni, tra cui specie da frutto ed erbe aromatiche: Lentisco ‘Pistacia lentiscus’, Mirto ‘Myrtus communis’, Quercia da sughero ‘Quercus suber’, Quercia portoghese ‘Quercus faginea’, Quercia di Kermes ‘Quercus coccifera’, Alaterno ‘Rhamnus alaternus’, Salvia ‘Salvia officinalis’.
L’associazione è responsabile della gestione dell’intero ciclo produttivo: dalla raccolta dei semi alla germinazione, alla cura e alla conservazione dell’intero ciclo di vita delle piante. Nelle diverse aree del vivaio, le piante trovano un habitat adatto alla loro crescita: diverse condizioni di umidità, calore, acqua e luce corrispondono alle esigenze individuali e specifiche di ogni pianta. In questo equilibrio tra natura e intervento umano si crea uno spazio in cui tutto si svolge con meticolosa attenzione, si controlla lo stato di salute di ogni specie e si agisce tempestivamente quando le piante necessitano di sostegno ed intervento.
Marca- ADL svolge anche attività dirette alla conservazione della natura come la piantumazione/riforestazione di alcune aeree con l’obiettivo di ripristinare ambienti degradati e/o naturali con specie autoctone, aiutando e sostenendo positivamente la sopravvivenza di altre specie. Inoltre, il lavoro sul campo è alternato ad azioni di divulgazione e sensibilizzazione alle tematiche ambientali attraverso progetti locali, attività educative, mantenendo i contatti con le istituzioni e la popolazione locale. Non mancano attività di vendita e servizi di giardinaggio al fine di promuovere l’uso di specie autoctone a scapito di specie esotiche invasive.
Oltre a gestire il vivaio, l’associazione si occupa di controllare ed eradicare alcune piante invasive che possono minacciare l’ecosistema in alcune aree più sensibili. Tra le più comuni vi sono “Arundo donax”, nota come Canna, e “Acacia dealbata”, nota come Mimosa, originaria dell’Australia. Non tutti sanno che popolazioni molto dense di queste piante possono ostacolare e inibire gravemente lo sviluppo della vegetazione autoctona, interferire con il flusso dell’acqua, inibire la fauna autoctona associata e aumentare alcuni problemi di erosione.
Il lavoro e le azioni dell’associazione vengono svolte in un ampio contesto internazionale e giovanile. Nelle sue azioni quotidiane l’associazione è sostenuta da un folto gruppo di volontari – provenienti da progetti Esc o dal Servizio Civile Italiano – desiderosi di lasciare il segno e di rimboccarsi le maniche in prima linea per contrastare i problemi ambientali. Uno spazio vitale in cui coesistono dialogo, confronto con la diversità e promozione di pratiche responsabili e sostenibili legate all’ambiente. E soprattutto si mobilitano nuove forze e menti oggi più che mai indispensabili per tracciare un percorso comune verso il benessere collettivo e lo sviluppo sostenibile.
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