Yoko Ono con il suo Mend Piece ci insegna a prenderci cura.
Artista controversa, Yoko Ono, esponente del movimento Fluxus, esplora l’arte concettuale e la performance; di lei si è scritto tanto, troppo e sempre in modo fazioso. Negli anni ’60 il critico Brian Sewell la definì sulle pagine del London Evening Standard “una donna ricca priva di talento, parassitaria, mangiatrice di uomini e artista inetta”. I giudizi misogini e antigenerazionali si riposizionavano in quella corrente di conservatorismo intellettuale contro il dilagante movimento hippie che imponeva una nuova filosofia di vita diametralmente opposta a quella (neo)capitalistica. Un’opinione completamente diversa arriva dal critico Michael Kimmelman, capo-redattore della sezione d’arte del New York Times, che l’ha definita negli anni ’90 “illuminante e necessaria”.
La figura di Yoko Ono non solo divide lз addettз ai lavori ma anche l’opinione pubblica. È infatti comparsa spesso sui tabloid per la sua vita bohémienne e i matrimoni con noti musicisti, tra cui la relazione più discussa con John Lennon, e per le reazioni dei tanti fan che le addebitano anche la colpa di aver portato i Beatles allo scioglimento a causa della sua ingombrante influenza. Ci sono tutti gli ingredienti mediatici per un cocktail perfetto da iniezione di celebrità, se a questo aggiungiamo anche la morte violenta di John Lennon, il rapimento della figlia Kyoko, i numerosi aborti, l’abuso di cocaina, e una predilezione alla coppia aperta, ci si può immaginare come mettere a fuoco l’artista diventi più complicato. La definizione che più le si attribuisce è abbastanza denigratoria: “la più famosa artista mondiale meno conosciuta”. Effettivamente bisognerebbe osservare con attenzione di più quello che ha realizzato l’artista invece che parlare del personaggio Yoko Ono. Liberarsi delle metafore negative non è semplice, disintossicarsi dai pareri perbenisti di una tagliola mediatica ancor meno, eppure le sue performances dagli anni sessanta a oggi continuano a conquistare spazio tra le gallerie più note del pianeta perché essenzialmente funzionano e incontrano i favori del pubblico. Mend Piece for London è stata ospitata nell’East End londinese, presso la Whitechapel Gallery fino al 2 gennaio 2022 e invitava lз visitatorз a aggiustare cocci di ceramica per ricreare degli oggetti rotti, per riparare, sanare, prendersi cura. Yoko Ono ha scritto sulle pareti le istruzioni della sua performance: “Mend carefully/Think of mending the world at the same time” (“Ripara con cura/ Pensa di riparare il mondo allo stesso tempo”).
Ono presentò la prima volta Mending Pice I nel 1966 all’Indica Gallery di Londra e poi ancora altre edizioni nel 2015 a New York e nel 2018 a Basilea. Il curatore della Whitechapel Cameron Foote ci spiega bene sulle pagine del Corriere della Sera perché questa performance è così amata dal pubblico: “aggiustare in questo momento, in un epoca di incertezze politiche” e ancora “E così l’idea di aggiustare ci sembra molto rilevante. Ma ora con la pandemia ha assunto un significato completamente diverso. Questa è la forza dell’opera: a seconda del contesto può assumere significati diversi. I visitatori verranno con le loro risposte.” Una delle risposte che la stessa Yoko Ono ci chiede di trovare è proprio quella di riparare il nostro pianeta sul baratro di una crisi climatica senza precedenti. Da hippie degli anni sessanta si è sempre schierata per la non violenza e uno stile di vita più ecologico ma, come sostiene il curatore Foote, i tempi oggi sono molto cambiati e l’urgenza dell’aggiustare ormai è improrogabile.
Lo sa bene la Serpentine Gallery di Londra che ha istituito nel 2020 il multi-progetto Back to Earth, un impegno a lungo termine per diversi anni, che interessa più di sessanta tra artistз, poetз,architettз, scienziatз, registз, filosofз, designer, a dare una risposta alla crisi ecologica, con un supporto di diverse organizzazioni e partner per realizzare lavori artistici e non online, offline e onsite nella galleria stessa. All’interno di questo progetto Yoko Ono ha realizzato il suo cartellone I LOVE YOU EARTH che cita una sua canzone del 1985 e poi diventata un pezzo di testo indipendente e un pezzo d’arte pubblica. I cartelloni pubblicitari riproducano la stessa scritta minimalista I LOVE YOU EARTH su uno sfondo bianco e sono stati posizionati in diversi luoghi in UK con l’intento di far dialogare lo sguardo dell’osservatorə con l’artista e il messaggio che vuole trasmettere. Quest’opera d’arte pubblica ci ricorda cosa vuol dire amare la terra e pone una frazione di sospensione tra lo spazio urbano caotico nel quale è inserita e l’atto meditativo dell’osservatorə al fine di sentirsi parte o di interrogarsi sulla terra. Il termine “terra” viene preso nella sua accezione totalizzante, da quella più immediata di terra che si calpesta o dove viene inserito il cartellone, a quella di terra in senso di quartiere, di casa, di città, nazione così per gradi fino a designare l’intero pianeta. Le domande che Yoko Ono sembrerebbe suggerirci sono: Io amo la terra? La amo abbastanza? Come si può amare la terra? Di più o meglio?
Questa analisi introspettiva che obbliga sia l’osservatorǝ sia l’intera comunità umana a porsi in un modo meno predatorio e più sostenibile con l’ambiente che abitiamo si ricollega benissimo al Mend Piece for London e all’azione della cura, dell’aggiustare, del rimettere in sesto un pianeta pesantemente segnato dalla crisi climatica. Tra tutti i miti e le leggende che circondano la figura di Yoko Ono, sarebbe meglio liberarsi del superfluo e del chiacchiericcio per immergersi invece nel significato della necessità dei gesti collettivi di cura, i più significativi possibili oggi, anche nell’ottica del progetto artistico Back to Earth e nell’attuazione efficace dei piani economici dei singoli stati a tutela dell’ambiente concordati nella cop26 a Glasgow. Se a qualche storia dovessimo e volessimo dare più credito, allora mi piace pensare al dono che Yoko Ono avrebbe realizzato per John Lennon, un sacchetto contenente una tazzina rotta e un biglietto con delle istruzioni per ricomporla, come a voler suggerire l’esigenza e la necessità di mettere a posto e risistemare qualcosa della vita del musicista. L’idea di questo regalo, reale o presunto, venne poi riprodotta nell’opera d’arte Mend Piece for John del 1968, lo stesso anno in cui i due divennero pubblicamente una coppia. Che il rimettere pezzi di ceramica insieme sia l’antidoto per un malessere personale o la soluzione per cercare del nuovo, o una semplice trovata artistica, quello che conta è che tuttз sia nel privato che nel collettivo abbiamo bisogno di cura soprattutto in un mondo che sembra cadere a pezzi tra le nostre stesse mani. E non staremo fermз, prenderemo colla, scotch, spago e cercheremo di risistemare tutto.
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