L’ozono stratosferico assorbe la radiazione ultravioletta UV-B (lunghezze d’onda 280-315 nm), che sarebbe altrimenti dannosa per la salute degli ecosistemi e dell’uomo. Questo importantissimo composto chimico si forma direttamente in atmosfera mediante reazioni fotochimiche in equilibrio tra loro.
Negli anni 70, erano state identificate alcune sostanze in grado di perturbare tale equilibrio, come i composti clorurati, tra cui i clorofluorocarburi, ma anche i bromurati e gli ossidi di azoto.
I CFC sono idrocarburi contenenti carbonio, cloro e fluoro. La presenza di composti del cloro interferisce con la reazione di creazione dell’ozono, in un ciclo continuo che genera altri composti del cloro. Si stima infatti che un singolo atomo di cloro possa distruggere fino a 10000 molecole di ozono. Infatti le reazioni ozono-distruttive sono catalitiche e i cfc hanno una vita molto lunga in atmosfera.
I CFC che venivano utilizzati ampiamente in diversi ambiti. erano utilizzati in maniera massiccia come fluidi refrigeranti in frigoriferi, condizionatori d’aria, ma anche come agenti espandenti in pannelli isolanti e come propllenti in prodotti spray. Sebbene siano oramai banditi a livello mondiale, la maggior parte dei CFC messi allora in circolazione sono ancora adesso intrappolati in apparecchi e impianti isolanti di vecchia generazione il cui deterioramento comporta un lento rilascio di CFC.
Nel 1980 è stato notato come il cloro contenuto nei CFC fosse responsabile di una severa riduzione dello strato di ozono in Antartide, che prese il nome di “buco nell’ozono”. In realtà non si trattava di un vero e proprio buco ma di un assottigliamento marcato dello strato di protezione a base di ozono, più intenso al polo sud.
Il protocollo di Montreal del 1987, riconoscendo il potenziale pericolo, bandì la produzione di CFC.
Numerosi studi hanno esplorato benefici del protocollo di Montreal nell’evitare effetti negativi sullo strato di ozono. Come conseguenza, negli ultimi anni i livelli di cloro in atmosfera si sono ridotti e lo strato di ozono si sta ricostruendo.
Inoltre, i gas ozono lesivi sono anche potenti gas serra, molto più impattanti dell’anidride carbonica. Pertanto, il protocollo di Montreal ha avuto l’ulteriore beneficio di contribuire alla mitigazione del cambiamento climatico. Finora nessuno studio aveva ancora indagato gli effetti su vegetazione e clima.
Ma cosa sarebbe successo se nessuno avesse fatto nulla? Come sarebbe la Terra oggi, se avessimo continuato ad usare i CFC (magari sotto spinta dell’industria chimica, contraria ovviamente al protocollo)?
Un recente studio condotto dall’università di Lancaster nel Regno Unito ha ipotizzato uno scenario distopico, in cui il protocollo di Montreal non sia mai esistito. L’esperimento simula degli scenari controfattuali, in cui le sostanze alogenate ozono lesive non siano mai state bandite.
Il modello tiene conto di diversi fattori, tra cui la riduzione dello strato di ozono, il cambiamento climatico, i danni causati alle piante dai raggi ultravioletti e il ciclo del carbonio e mira a comprendere i benefici dell’aver evitato l’incremento di radiazione ultravioletta, i cambiamenti nel clima sulla biosfera terrestre e la sua capacità di assorbire co2.
Gli scienziati hanno analizzato tre scenari possibili: lo stato attuale, basato su dati storici e tenendo conto della mitigazione dovuta al protocollo di Montreal, uno scenario in cui le concentrazioni di CFC corrispondono ai livelli del 1960 e un terzo scenario in cui, in assenza del protocollo di Montreal, l’aumento di CFC è stimato del tre per cento all’anno.
Secondo i ricercatori, lo strato di ozono sarebbe collassato entro il 2040, determinando raggi UV alle medie latitudini al pari di quella degli attuali tropici.
È stato stimato che, nel peggiore scenario, ci sarebbero potuti essere 115 – 235 ppm aggiuntivi di anidride carbonica in atmosfera. L’aumento delle radiazioni ultraviolette avrebbe inoltre fortemente danneggiato la vegetazione, inibendo la sua capacità di catturare anidride carbonica.
Ciò avrebbe potuto determinare un aumento addizionale della temperatura media terrestre di 0,5-1° entro il 2100.
Allo stato attuale, in base all’ultimo report dell’IPPC, la temperatura globale continuerà ad aumentare e si supererà un innalzamento di 1,5 °C e 2 °C, a meno di profonde riduzioni di gas serra. Pertanto, un ulteriore innalzamento di 1°C dovuto ai raggi ultravioletti avrebbe potuto portare le temperature fino a 3°C.
I ricercatori sono tuttavia ottimisti, immaginando che i danni alla vegetazione avrebbero quasi sicuramente scatenato azioni di protezione dell’ozono, presto o tardi. È quindi improbabile che lo scenario ipotizzato si sarebbe verificato, ma un ritardo nella protezione dell’ozono avrebbe potuto comportare effetti indesiderati più o meno gravi.
Il protocollo di Montreal rappresenta quindi un valido esempio di risposta rapida ed efficace alla crisi climatica. In poco più di 10 anni, è stato possibile limitare danni che avrebbero reso la nostra Terra un luogo ancora più caldo e difficile dove vivere. Eppure, gli esempi di conferenze, normative, leggi, che si sono rivelati del tutto inefficaci o non hanno sortito gli effetti sperati sono ben più abbondanti nella storia recente.
Questo successo dovrebbe servire a ricordare che delle azioni sono possibili e necessarie per la lotta al cambiamento climatico. E soprattutto urgenti.
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