Deserti, mare e Marte: cos’hanno in comune? Lo spazio. Uno spazio considerevole, ma ostile alla coltivazione. E in un mondo con una popolazione in crescita e una serie di fenomeni climatici sempre più aggressivi, il terreno per coltivare diventa essenziale per la sopravvivenza quanto l’acqua che lo irriga. Nascono così dei progetti ingegnosi che aprono nuove strade o, meglio, nuovi spazi all’agricoltura.
Dieci miliardi di persone e un pianeta da salvare
Secondo il report della FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, nel 2050 la Terra ospiterà 9,8 miliardi di abitanti. Ne consegue che, con la crescita della popolazione, sarà necessario aumentare la produzione di cibo. Avremo infatti bisogno del 50% in più di generi alimentari, un quantitativo ingente che richiede, com’è facile intuire, uno sfruttamento più intensivo delle risorse a disposizione. In breve: servirà più cibo, lo spazio coltivabile però sarà sempre lo stesso, anzi, in misura sempre più ridotta.
La diminuzione, in termini di qualità e quantità, delle superfici riservate all’agricoltura, si deve a tre fattori. Al cambiamento climatico, alla perdita di biodiversità e alla desertificazione, il degrado più estremo del suolo.
Con il termine desertificazione non intendiamo l’avanzata del deserto, quanto il passaggio di un territorio da fertile a incapace di sostenere forme di vita. Del 75% di terre fertili che occupano il pianeta, più del 40% è, infatti, già abbondantemente compromesso. Un numero destinato a rimpicciolire se non si trova la giusta soluzione.
Tetti green dalla Thailandia
Una delle proposte più recenti viene dall’Asia, dalla Thammasat University di Bangkok. Qui, sul tetto, si trova una superficie di 7000 metri quadrati che può ospitare anche colture come riso, verdure ed erbe aromatiche, producendo energia per 500 mila watt/ora. Il progetto dell’architetto Kotchakorn Voraakhom tiene a mente le criticità della capitale, destinata a sprofondare nel mare un centimetro ogni anno.
Ricoprendo i tetti urbani di giardini e piante, si ovvierebbe al problema del surriscaldamento, dal momento che gli ambienti resterebbero più freschi e non ci sarebbe bisogno di un uso eccessivo degli impianti di raffreddamento. Le coltivazioni di queste fattorie urbane, inoltre, permetterebbero di soddisfare l’intero consumo di verdure degli abitanti delle città e si alimenterebbero con l’acqua piovana. Ripensando in quest’ottica gli spazi urbani si ostacolerebbe anche l’innalzamento del livello dei mari.
Deserti coltivabili in Cina
Sempre dall’Asia avanza una nuova soluzione. Più precisamente, arriva dalle sabbie del deserto cinese di Ulan Buh che, impastate con un composto cellulosico e umidificato, ecologico e sostenibile, sono riuscite a produrre piante di riso, mais, patate dolci e molto altro ancora.
Sulla possibilità di coltivare sulla sabbia sta lavorando anche un ricercatore norvegese, Kristian Morten Olesen. Per lui, che ha brevettato il Liquid Nanoclay (nanoparticelle di argilla e d’acqua legate alla sabbia), i successi sono arrivati in Medio Oriente con un risparmio idrico del 50%.
Resta tuttavia da risolvere una questione: modificando l’ecosistema del deserto quanto si compromettono le risorse idriche sotterranee, quanto si influisce sul cambiamento climatico regionale e quante possibilità ci sono di ritrovarsi con forme di biodiversità indesiderata? Il tutto andrebbe valutato prima di ogni intervento, caso per caso, com’è avvenuto per questi due studi.
Orti subacquei in Italia
L’Italia è uno dei paesi dell’Unione Europea a rischio desertificazione. Di tutte le regioni, i suoli più provati si trovano in Sicilia, Puglia, Molise e Basilicata, con percentuali di desertificazione che vanno dal 70% al 50%. Il 4,3% del suolo italiano, inoltre, è già sterile, il 5% ha subito fenomeni di desertificazione, soprattutto a causa di piogge sempre meno frequenti.
Non è un caso che la zona mediterranea faccia infatti parte di quel quarto di superficie coltivabile già arida o depauperata. Se si tiene poi in considerazione la difficoltà di recuperare le risorse idriche necessarie per le coltivazioni e l’incertezza legata ai bruschi fenomeni atmosferici, allora il progetto della Nemo’s Garden di Noli, in Liguria, sembra segnare una possibile rotta da seguire.
Il primo orto subacqueo, nato da un’idea del fondatore di Ocean Reef Group Sergio Gamberini, si basa su una tecnica idroponica completamente ecosostenibile e permetterebbe di ovviare a innumerevoli problematiche legate a spazio, pesticidi e spreco di risorse idriche. Un’idea che si potrebbe esportare in altre aree del pianeta dove l’agricoltura è a rischio.
Marte, pianeta verde?
In caso lo spazio sulla Terra fosse troppo limitato, esiste un piano B. Si chiama Marte. Da diversi anni esistono concorsi per progetti di strutture edilizie sul Pianeta Rosso, e gli scienziati hanno cominciato a studiare e sperimentare la crescita di vegetali su riproduzioni di suolo lunare e marziano. Anche perché, l’acqua su Marte c’è.
I risultati, inizialmente negativi per gli ortaggi, sembrano ora portare in altre direzioni, decisamente più ottimistiche, tanto che la NASA ora cerca quattro volontari che simulino un anno di vita su Marte. Tra le mansioni: coltivare il proprio cibo.
Le soluzioni di certo non mancano e nemmeno il desiderio di sperimentare nuove vie che fino a qualche anno fa avremmo solamente fantasticato.
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