È all’ordine del giorno l’incessante ripetizione che il cambiamento climatico rappresenta la sfida più gravosa verso cui è necessaria un’azione immediata. L’esistenza di un collegamento fra l’innalzamento della temperatura e la concentrazione di CO2 nell’atmosfera è nota già dal 1824, quando Svante Arrhenius calcolò gli effetti di un raddoppiamento di anidride carbonica nell’atmosfera.
In seguito, numerosi studi hanno, sì, smentito lo scenario apocalittico dello studioso, ma hanno anche confermato gli effetti devastanti per il nostro pianeta di un’elevata concentrazione di gas serra nell’atmosfera.
Attualmente, la comunità scientifica dichiara unanimemente i seguenti punti:
- Il surriscaldamento globale è inequivocabile
- Il greenhouse gas effect è ciò che produce tale surriscaldamento
- La principale causa del surriscaldamento è antropogenica[1]
[1] Nei report periodicamente pubblicati dall’Intergovenmental Panel on Climate Change, è dal 2010 che l’IPCC è certo al 99% che le attività umane sono la causa principale del surriscaldamento globale.
Nonostante le stime siano ancora incerte ed il range di probabilità di eventi catastrofici vari in base ai modelli utilizzati per effettuare tali calcoli, è indiscutibile che la presente concentrazione di 420 p.p.m.v.[1] di diossido di carbonio nell’atmosfera è la conseguenza di profondi danni ambientali. Lo scioglimento dei ghiacciai, numerose specie estinte, la perdita di interi ecosistemi (la barriera corallina…), l’estinzione di insetti e specie animali rappresentano solo alcune delle conseguenze verso cui ci si deve concentrare. Tuttavia, sorge spontaneo chiedersi perché la comunità internazionale debba adottare misure volte a salvaguardare il pianeta: perché l’innalzamento della temperatura rappresenta un grande problema? In fondo, è solo un po’ più caldo…
Tralasciando la perdita di paesaggi naturalistici e faunistici a cui si dovrebbe rinunciare, la ragione principale verso una necessaria svolta green è essenzialmente economica.
Prendiamo in considerazione l’innalzamento del livello del mare dovuto allo scioglimento dei ghiacciai e consideriamo l’elevato numero di persone che vivono vicino alle coste. In Italia, ad esempio, interi paesi ed attività commerciali sorgono sulla costa, non solo per sfruttare i profitti legati al turismo marittimo, ma molte zone sono appositamente scelte come dimora stabile per la bellezza ed il piacere di svegliarsi con il rumore delle onde del mare.
Nordhaus (2013) ha stimato un innalzamento del livello del mare pari a +7 metri se l’intero ghiacciaio della Groenlandia si sciogliesse; con un innalzamento tale, molte aree abitative dovrebbero essere evacuate ed un’ampia fetta della popolazione si ritroverebbe senza abitazione, ma soprattutto senza lavoro. In Stati dove vige il welfare state è l’autorità pubblica che deve farsi carico di tutti i costi associati ad eventi simili; non solo, tutti gli investimenti nelle infrastrutture site in queste aree costiere andrebbero completamente perse poiché strade o palazzi non possono essere riposizionati o traslocati verso zone sicure. È ovvio comprendere la gravosità degli investimenti essenziali per far fronte a tali necessità.
In Australia, il governo ha stimato un disastro ambientale pari ad un 1 miliardo di dollari[2] per affrontare gli incedi boschivi che hanno devastato la terra dei koala per circa 19 milioni di ettari all’inizio del 2020.
Le ripercussioni economiche del cambiamento climatico sono così spaventose da spingere gli Stati ad incentivare politiche ecosostenibili volte ad azzerare i rischi predetti dalla comunità scientifica.
Il piano quinquennale (2019 -2024), approvato dalla Commissione Europea di Ursula von der Leyen – New Green Deal -, è la chiara dimostrazione della direzione green che l’Europa vuole intraprendere e di cui vuole essere promotrice ed ambasciatrice. Nonostante l’ambizioso pacchetto di riforme sia stato bloccato e rallentato dalla recente pandemia di Covid-19, forti sono le critiche della comunità scientifica ed economica per il New Green Deal, che viene definito lacunoso ed inefficiente dal punto di vista degli investimenti di risorse e capitali.
Da una mera analisi superficiale, ci si potrebbe domandare la ragione per cui non vi sia un impegno universale ed ufficiale per la salvaguardia del nostro pianeta. Nonostante sia scientificamente approvato che la combustione dei fossili sia la principale forza motrice dell’aumento dei gas serra, molti paesi continuano ad approvare e sovvenzionare progetti che sfruttano la potenza dei suddetti combustibili. Se si considera il settore elettrico, meno del 10% dell’offerta di energia globale è prodotta da fonti rinnovabili (sole, vento, acqua…), mentre carbone (30%) ed olio (35%) rappresentano le fonti principali a cui attingere per soddisfare la domanda internazionale.
Lo scenario descritto sembra un paradosso: conosciamo l’origine del problema, chi lo produce e come fermarlo, ma nessuno si azzarda a scuotere i capisaldi economici verso l’implementazione di un’economia green. Perché?
La risposta è facile: il cambiamento climatico è il più grande dilemma sociale che la comunità internazionale abbiamo mai affrontato e, purtroppo, ancora oggi, non vi è nessuna soluzione all’orizzonte.
[1] Parts per million by volume of air.
[2] Il più grande disastro ambientale che l’Australia abbia mia affrontato.
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