La fine di Isengard
“Il mondo sta cambiando. Chi, ora, ha la forza di opporsi agli eserciti di Isengard e di Mordor? Di opporsi al potere di Sauron e di Saruman, e all’unione delle due Torri? Insieme, mio signore Sauron, regneremo su questa Terra di Mezzo. Il Vecchio Mondo brucerà tra le fiamme dell’industria. Le foreste cadranno. Un nuovo ordine sorgerà. Guideremo la macchina della guerra con la spada, la lancia e il pugno di ferro degli Orchi.”
Sono queste le parole proferite da Saruman il Bianco, stregone di Isengard, in un monologo interiore che viene pronunciato mentre le immagini di desolazione, di alberi sradicati, di fiamme, di macchinari in funzione e di orchi laboriosi scorrono sullo schermo. Una scena che, oltre a colpirmi nel profondo, mi ha sempre colpito, in particolare nel momento in cui Saruman parla di “industria”.
Un termine che, in un contesto in cui non esistono né macchinari né tecnologie, mi stonava un po’; nel 2002, quando vidi “Il Signore degli Anelli – Le due Torri”, avevo 11 anni e nessuna possibilità di usare internet, quindi la ricerca del senso di quella frase si fermò.
Alcuni anni più tardi, rivedendo il film e ricordandomi di essere già stato incuriosito da quel monologo, cercai una risposta; una risposta che è riassumibile in 4 semplici parole: Tolkien amava la natura.
La terra di mezzo: terra della natura…
Per chi (ancora) non lo sapesse, J.R.R. Tolkien è l’autore delle più celebri opere di high fantasy della storia: Il Signore degli Anelli, Lo Hobbit e Il Silmarillion.
Quello che molti (me compreso fino a poco tempo fa) non conoscono è la profonda visione ecologica inserita da Tolkien all’interno dei suoi scritti; questo amore per la natura da parte dell’autore si esprime innanzitutto attraverso una serie di personaggi che abitano la Terra di Mezzo, il mondo in cui è ambientato il racconto: ci sono gli Hobbit, una comunità di piccoli uomini e donne che vivono in semplicità e armonia; incontriamo gli Ent, enormi giganti albero; conosciamo gli Elfi, protettori della natura e degli animali.
Inoltre, i libri scritti da Tolkien sono caratterizzati da ambienti ricchi di vegetazione, le cui descrizioni sono talmente specifiche e precise da far profumare le pagine dell’essenza del muschio, oppure da far percepire la delicatezza dei fiori di Lothlórien semplicemente sfogliando le pagine.
Qualcuno ha voluto contare quante piante selvatiche realmente esistenti sono menzionate ne “Il Signore degli Anelli”: ben 64, e nel conteggio non rientrano tutte quelle inventate dalla mente dell’autore!
Insomma: Tolkien non ci dice cos’è la natura, ce la mostra!
… e della desolazione
Se le descrizioni di paesaggi bucolici, foreste verdeggianti e praterie ariose ci fanno respirare la freschezza della natura incontaminata, allo stesso modo il livello di dettaglio con cui Tolkien racconta la desolazione causata da Sauron, Saruman e i loro accoliti fa capire quanto l’autore dell’opera fantasy fosse impaurito da cosa potessero causare guerra (da lui combattuta) e industrializzazione.
Gli esempi di queste descrizioni vorrei richiamare la scena citata a inizio articolo, presente anche nel libro, Tolkien mostra come la scelta di Saruman di unirsi al Signore Oscuro porti alla distruzione di Isengard, un tempo terra fertile, verdeggiante e ricca di foreste tutt’intorno, poi trasformata in un luogo di fiamme, macchine per la produzione di armi e, soprattutto, resa completamente sterile.
Un secondo esempio è quello che vede i protagonisti Frodo e Sam entrare nel regno di Mordor per distruggere l’anello del potere: i due hobbit vagano per giorni in terre sfruttate, impoverite e maledette dall’opera di corruzione di Sauron, arrivando più volte sul punto di arrendersi, spesso non riuscendo a respirare a causa dell’atmosfera opprimente di quel regno di morte.
Il monito di Tolkien
Il parallelo tra quanto si respira ne “Il Signore degli Anelli” e la realtà è facilmente intuibile. Tolkien vede la Terra di Mezzo come un luogo minacciato dalla civiltà industriale, in cui i fumi neri delle macchine degli orchi ricordano quelli delle ciminiere delle grandi acciaierie inglesi; tant’è che in una delle sue tante lettere, Tolkien scrive che “Mordor è Wigan, o Sheffield,” riferendosi a due città snaturate in nome del progresso industriale nel corso dell’epoca vittoriana.
Tolkien fu, a suo tempo e modo, un Gandalf del mondo reale: come lo stregone viaggiava di corte in corte avvertire del ritorno di Sauron per convincere i regnanti a mobilitarsi in difesa della Terra di Mezzo, così l’autore ha voluto avvertire i suoi lettori e, in generale, il mondo intero sulla pericolosità delle conseguenze di deforestazione, guerra e continua industrializzazione.
Non è un caso che nel 1954, quando il primo volume de “Il Signore degli Anelli” fu pubblicato, il libro di Tolkien venne criticato in quanto lontano dalle idee di consumismo alla base della società moderna, nella quale un mondo di foreste e natura incontaminata era inconcepibile, dovendo queste lasciare il posto a strade, industrie e città in continua espansione.
J.R.R. Tolkien amava la natura e aveva capito, più di 80 anni fa, in che direzione si stava dirigendo il mondo.
All’epoca nessuno lo ascoltò.
Oggi, le sue parole sembrano profezie.
Speriamo non sia troppo tardi.
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