Oggi viviamo in una dimensione surreale.
Stiamo adattando la nostra vita o ci stiamo solo lasciando vivere? In questo status di stand by che sta durando ormai da quasi un anno abbiamo visto intere giornate, settimane e mesi scorrere irreparabilmente veloci come acqua tra le nostre dita e ci siamo dovuti adattare ad una realtà che nessuno aveva mai visto prima se non in qualche film del filone catastrofico.
Siamo stati privati di tutto.
Siamo stati privati dei baci, degli abbracci, degli affetti più cari, dei boschi, del vento, della luce e del calore del sole, del canto degli uccelli, delle stelle e della brezza sul volto.
Abbiamo mancanza d’aria. La “boccata d’aria” a cui prima ci si riferiva come fosse qualcosa di scontato e di poco valore è oggi qualcosa di tanto prezioso, così prezioso che pur di prenderne una piccola dose siamo disposti a tutto.
Come fosse ossigeno.
Per tanti, soprattutto i più giovani, l’ossigeno è viaggiare; siamo in molti a far parte della categoria degli wanderlust e a dover fare i conti con l’immobilità a cui siamo costretti da tempo.
Tanti di noi desiderano viaggiare verso un Paese estero, scoprire gli usi, i costumi e le tradizioni del suo popolo, scoprire i sapori e gli odori degli aeroporti pronti ad accoglierci, dei centri commerciali, dei mercati, delle piazze, dei parchi e dei ristoranti tipici.
Siamo, o meglio, eravamo la generazione Erasmus, una generazione che correva, correva veloce.
Una generazione curiosa di scoprire culture culinarie di tutto il mondo con compagni di viaggio provenienti da diverse nazioni, parlando più lingue contemporaneamente, cercando di creare connessioni sempre più forti con occhi brillanti e sorrisi fraterni.
Siamo affascinati da tutto ciò che proviene da luoghi lontanissimi, che possiamo raggiungere con la nostra fantasia che non conosce confini ne barriere.
Barriere che, ahimè, un anno fa si sono innalzate di netto come una ghigliottina tra un Paese e l’altro, tra una regione e l’altra, tra una casa e l’altra.
Il nostro pianeta, dopo tanta tolleranza, non ha più resistito.
Il nostro pianeta che, sebbene spesso noi tutti millantassimo verso questo un amore rispettoso e alla cui base c’era la ricerca di un equilibrio, è stato maltrattato e sfruttato dai suoi abitanti sino al midollo come fossimo degli esseri avidi, irresponsabili, non curanti e superficiali (o, in fin dei conti, lo siamo?).
La pandemia non solo ci ha isolati ma ci ha costretto a fermarci e a riflettere.
Ci siamo allenati dentro le mura di casa quando prima ci allenavamo in palestre di tanti piani quanti quelli dei centri commerciali. Ogni metro quadrato delle nostre case ha guadagnato importanza vitale.
Abbiamo imparato a fare il pane con le nostre mani, un alimento con pochi ingredienti che sino ad allora ci erano sembrati accessori ma che son diventati talmente indispensabili che ci son stati momenti in cui trovare del lievito al supermercato non era per nulla scontato.
Abbiamo imparato a dare molta più importanza anche solo ad una chiamata. Siamo diventati più sensibili al tono della voce che sentiamo dall’altra parte del telefono.
Abbiamo imparato ad usare più spesso un tono amorevole, in attesa di tornare a ricevere e dare amore carnale.
In attesa di tornare a crogiolarsi sotto al calore del sole e dentro il calore di un abbraccio che si è atteso per tanto tempo, come mai si era atteso prima.
Abbiamo capito che non dobbiamo dare nulla per scontato, che per ogni istante che ci viene donato dobbiamo esserne grati e non abbiamo motivo per non spendere, ogni qualvolta ci sia l’occasione, gentilezza verso il prossimo e soprattutto verso la Natura che ci circonda e che ci dona ogni giorno immensi regali, che dobbiamo imparare a rispettarla e a vivere come suoi ospiti cercando di stabilire un armonioso equilibrio con essa.
La pandemia è stata forse un segnale di ribellione da parte del nostro ecosistema?
Ѐ stata forse il ripetersi del fenomeno naturale di salto di specie, il cosiddetto spillover?
Può essere, ma di una cosa siamo certi, ovvero che anche il comportamento dell’uomo ha contribuito a scatenare questa pandemia, portando al collasso i sistemi sanitari mondiali e tutte le attività economiche.
Abbiamo pagato e stiamo pagando a caro prezzo questo insegnamento, un insegnamento che speriamo sia servito a capire quanto è importante dare valore anche alle più piccole cose, ai più piccoli e apparentemente insignificanti momenti della nostra vita, alla generosa Natura che ci circonda e che abbiamo spesso maltrattato, a volte talmente tanto manifestando l’apoteosi dell’egoismo umano.
La pandemia ha stravolto la nostra vita.
La pandemia ha significato sacrificio, un sacrificio che per i più fortunati ha portato all’isolamento ma che per altri, purtroppo, ha lasciato la cicatrice della perdita di una persona amata.
Con la speranza che i nostri sorrisi nascosti dalle mascherine possano presto tornare a contagiare gioia e che noi tutti possiamo tornare a vivere nel rispetto del prossimo e della Madre Terra, come spesso ci insegna la cultura orientale, anche in questa circostanza cerchiamo di trovare del positivo:
tutto questo ci ha resi più sensibili, ci ha resi più umani.
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