Il presente più che un articolo è la traduzione scritta di A LIFE ON OUR PLANET, il nuovo documentario firmato David Attenborough rilasciato lo scorso autunno e disponibile su Netflix.
Perché metterlo nero su bianco se è possibile guardarlo in tv? Quanto riporta David Attenborough deve arrivare a più persone possibile, se qualcuno non ha 80 minuti per sedersi e incollarsi al televisore, leggere quanto segue ne prende meno di 10.
Chi è David Attenborough? È un naturalista, scrittore e presentatore di 94 anni che ha trascorso la vita a raccontare il Pianeta. Se non ne avete sentito parlare avrete comunque, molto probabilmente, visto passaggi dei suoi documentari.
Cos’è A LIFE ON OUR PLANET? La sua testimonianza. In questo suo ultimo documentario Sir Attenborough condivide la sua vita professionale con il mondo intero, spiega come nell’arco di un secolo abbia assistito alla trasformazione subita dal Pianeta a causa delle attività umane, avverte del pericolo che corriamo se non invertiamo la rotta e indica la strada da intraprendere per farlo.
David Attenborough – A Life On Our Planet (2020)
Chernobyl era una città dell’Ucraina che un tempo ospitava circa 50.000 persone. Aveva tutto quello che una comunità può desiderare per vivere una vita comoda e tranquilla, però, da un giorno all’altro, il 26 aprile del 1986, fu abbandonata. La vicina stazione nucleare esplose e le autorità furono costrette ad imporre l’evacuazione. Qualche errore di progettazione provocò la catastrofe; ancora oggi le regioni circostanti ne subiscono le conseguenze.
Ma è un’altra la catastrofe che vorrei raccontare; il responsabile è sempre lo stesso, ma il danno è maggiore. In realtà è una tragedia ancora in atto, si sta verificando adesso mentre vi parlo e ha luogo contemporaneamente in tutto il mondo: il cambiamento climatico.
La natura è spettacolare, è unica e allo stesso tempo non potrebbe essere più diversa: miliardi di esseri con forme e colori distinti condividono il pianeta, vivono grazie all’energia del sole e alle risorse della terra e si sostengono l’un l’altro. Noi stessi dipendiamo da questo efficientissimo sistema che si autoalimenta, però ci comportiamo come se non fosse così, distruggendolo giorno dopo giorno con le nostre azioni.
E se per salvarsi dalle radiazioni gli abitanti di Chernobyl hanno lasciato la città, dal cambiamento climatico non sarà possibile fuggire: sarà il Pianeta intero ad essere inabitabile. Sta succedendo. L’ho visto succedere. Quanto racconterò è la mia testimonianza e la mia visione per il futuro, la storia di come siamo arrivati a commettere il nostro più grande errore e di come, se ci attiviamo, potremmo ancora rimediare.
Sono David Attenborough e ho 94 anni. Ho vissuto una vita straordinaria, ma soltanto adesso sono in grado di apprezzarla davvero. Mi è stato permesso di esplorare qualsiasi angolo del Pianeta; ho viaggiato ovunque, mi sono immerso in tutte le meraviglie della natura. In tutta onestà non potrei immaginare di vivere la mia vita in modo diverso.
1937
Popolazione mondiale: 2.3 miliardi
CO2 nall’atmosfera: 280 ppm
Biodiversità rimanente: 66%
Quando sono nato le informazioni che avevamo sulla Terra erano ancora piuttosto limitate. Studiando ho imparato che qualsiasi genere di evoluzione necessita di un processo lento e costante. Il Pianeta ha impiegato miliardi di anni per arrivare ad oggi, ha persino dovuto ricominciare il suo lavoro più volte dato che ogni qualche centinaio di milioni di anni avveniva una catastrofe che lo riportava al punto di partenza. E ad ogni catastrofe corrispondeva l’estinzione della maggior parte delle specie viventi, soltanto alcune sopravvivevano.
Le rocce ci raccontano la storia del Pianeta attraverso linee nette che separano il prima e il dopo di ogni catastrofe. Esistono cinque linee, che significa che in 4 miliardi di anni di storia, il Pianeta ha subito cinque diverse grandi catastrofi, che hanno causato cinque estinzioni di massa. L’ultima volta che è successo la colpa è stata di un meteorite, il risultato è noto a tutti: la fine dell’era dei dinosauri. Insieme ai dinosauri è sparito dal Pianeta anche il restante 75% di specie animali e vegetali. Da quel momento, per 65 milioni di anni, la natura ha lavorato alla ricostruzione fino ad arrivare al nostro tempo, quello che gli scienziati chiamano Olocene e che definiscono il periodo più stabile nella storia della Terra.
Per 10.000 anni la temperatura media terrestre non si è alzata né abbassata per più di un grado centigrado, e la natura ha giocato un ruolo fondamentale per mantenerla stabile.
Il fitoplancton sulla superficie degli oceani e le immense foreste nel nord sono servite ad assorbire i gas. Le grandi mandrie nelle pianure hanno mantenuto i terreni ricchi e fertili concimando il terreno; le mangrovie e le barriere coralline sono servite da casa per migliaia di pesci; e le giungle equatoriali hanno assorbito l’energia solare e rilasciato umidità e ossigeno nelle correnti d’aria. Anche i ghiacci polari sono stati essenziali, hanno riflesso il sole rinfrescando la Terra.
La biodiversità dell’Olocene ha portato stabilità in tutto il Pianeta e gli esseri viventi si sono adeguati al suo ritmo, imparando a conoscere e convivere con le sue stagioni: nelle pianure tropicali i periodi di siccità e di pioggia si alternavano ogni anno con perfezione; in Asia il cambiamento nei venti segnalava l’arrivo dei monsoni; nelle regioni del nord, le temperature crescevano a marzo, dando il via alla primavera, e rimanevano alte fino ad ottobre, quando si abbassavano e imponevano l’arrivo dell’autunno. L’Olocene è il nostro Giardino dell’Eden, il suo incedere è stato talmente costante da regalarci un’opportunità unica: la coltivazione.
Abbiamo imparato a sfruttare le stagioni per ricavarne raccolti e sostentamento. In quel frangente cominciava la storia della civilizzazione umana. Potevamo progredire e prosperare perché la natura era prevedibile. La nostra intelligenza ha fatto la differenza: gli altri animali hanno bisogno di una trasformazione fisica, a noi basta un’idea, un’idea che può essere trasmessa da generazione a generazione.
Qualche millennio dopo nacqui io, posso dire di essere cresciuto in contemporanea ad un cambiamento che non ha precedenti nella storia del nostro Pianeta. L’inizio della mia carriera, avevo vent’anni, coincise con l’avvento del primo viaggio aereo.
1954
Popolazione mondiale: 2.7 miliardi
CO2 nell’atmosfera: 310 ppm
Biodiversità rimanente: 64%
Ovunque andassi la natura era padrona. Si poteva volare per ore sopra foreste e pianure immacolate. E fui così fortunato che mi venne chiesto di esplorarle e registrarle. Con l’avvento della televisione chiunque avrebbe avuto la possibilità di godersi le meraviglie che incontravo. E fu facile, la gente non aveva mai visto bradipi o pangolini, tanto meno il centro della Nuova Guinea. È stato il periodo più bello della mia vita. In realtà, il periodo più bello delle nostre vite: la seconda guerra mondiale era finita, la tecnologia ci rendeva la vita più facile e il progresso non era mai stato più veloce. Niente poteva fermarci, il futuro ci sembrava pieno di opportunità e capace di regalarci qualsiasi cosa avessimo mai sognato. Però era anche prima che qualcuno realizzasse che c’era un problema.
1960
Popolazione mondiale: 3 miliardi
CO2 nall’atmosfera: 315 ppm
Biodiversità rimanente: 62%
La mia prima visita in Africa orientale fu nel 1960. Allora era inconcepibile che un giorno l’umanità sarebbe stata in grado da sola di minacciare l’esistenza di tutti gli esseri viventi. La natura sembrava illimitata e incontrastata. In Africa ci sono pianure descrivibili esclusivamente come infinite, i Maasai usano la parola “Serengeti”. Migliaia di zebre, gazzelle e altri animali si spostano correndo da un posto all’altro, per un turista potrebbe sembrare che arrivino dal nulla e nel nulla spariscano. In realtà il nulla, nulla non è. Bernhard Grzimek, scienziato tedesco, ha seguito le mandrie del Serengeti con l’aeroplano e ne ha tracciato gli spostamenti. Ha scoperto che hanno bisogno di uno spazio immenso per sopravvivere, senza libertà di movimento la loro sopravvivenza sarebbe a rischio, il loro numero diminuirebbe e come conseguenza l’intero ecosistema imploderebbe.
Questa scoperta mi fece realizzare che la natura è tutt’altro che illimitata. È finita. Ha bisogno di essere protetta. Qualche anno più tardi questo pensiero attraversò la mente di tutti. Ero in uno studio televisivo quando lo shuttle della missione Apollo 11 fu lanciato. Fu la prima volta che un uomo si allontanava abbastanza dalla Terra da riuscire a vedere l’intero Pianeta. Le immagini che venivano trasmesse dallo spazio riprendevano la Terra, vulnerabile e isolata, in mezzo al buio spaziale. Eccetto per Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins, che erano sullo Suttle, quella palla blu racchiudeva tutta l’umanità. La prima immagine della Terra ha cambiato completamente la nostra percezione del Pianeta. La nostra casa non era più infinita, d’un tratto i limiti della nostra esistenza erano chiari a tutti. Dipendiamo dalle risorse finite che la Terra ci offre.
1978
Popolazione mondiale: 4.3 miliardi
CO2 nall’atmosfera: 335 ppm
Biodiversità rimanente: 55%
Ho trascorso la seconda metà degli anni settanta a viaggiare per il mondo, ho creato una serie televisiva che per anni avevo sognato di produrre: Life on Earth, che racconta la storia dell’evoluzione della vita in tutte le sue forme e complessità. Io e i miei colleghi abbiamo ripreso oltre 650 specie animali, abbiamo esplorato 39 paesi diversi e percorso quasi 2 milioni e mezzo di chilometri. Poco dopo aver iniziato l’impresa ci fu chiaro che alcuni animali erano diventati piuttosto difficili da rintracciare. Quando ho ripreso i gorilla di montagna ne erano rimasti solamente 300 nella giungla centro africana. I cuccioli di gorilla avevano un valore altissimo sul mercato nero, i bracconieri erano disposti ad uccidere una dozzina di gorilla adulti per accaparrarsene uno. Capii che l’estinzione che avevo studiato nei libri di storia e avevo visto nella stratificazione delle rocce si stava verificando di fronte ai miei occhi.
Negli anni 70 iniziò il massacro delle balene. I cacciatori si spostavano in flotte, non ci volle molto perché ne rimanessero poche migliaia. Per noi di Life on Earth fu quasi impossibile scovarle e filmarle. Fu anche il periodo in cui ne venne registrata la voce: il canto con cui i cetacei comunicavano tra loro mosse il mondo; gruppi ambientalisti lottarono con i tutti i loro mezzi per convincere le industrie a fermare la caccia.
L’uomo ha spinto gli animali all’estinzione molte volte senza mai essere fermato. L’arrivo delle telecamere cambiò le cose: uccidere una balena si trasformò da caccia a crimine. Furono anche gli anni in cui il mondo, collettivamente, prese coscienza delle sue azioni. L’estinzione di una specie era inaccettabile. Capimmo che la natura doveva essere protetta e preservata.
La prima volta che Life on Earth fu trasmessa avevo cinquant’anni; sulla Terra abitava il doppio delle persone rispetto a quando ero nato. Siamo la specie dominante e anche il più diffuso grande animale del pianeta, e lo siamo diventati in soli 2000 anni. Non abbiamo predatori, le malattie sono sotto controllo, sappiamo come produrre cibo e possiamo anche farcelo portare direttamente a casa. Negli anni 80 sembrava che niente fosse in grado di fermarci, eravamo completamente padroni del nostro destino. Abbiamo usato la Terra fino ad esaurirla.
Oggi salvare una singola specie, come nel caso delle balene, non è sufficiente. Oggi sono interi habitat ad essere minacciati. Quello del Borneo, nel sud est asiatico, mi è sparito davanti agli occhi: negli anni 50 tre quarti della regione era rappresentato dalla foresta pluviale, alla fine del ventesimo secolo ne era rimasta metà.
Una piccola area di foresta pluviale può contenere fino a 700 alberi differenti, tanti quanti nell’intero nord America. Dovremmo conservarne la biodiversità, eppure abbiamo trasformato gran parte della foresta in una monocoltura di alberi di palma, un habitat morto in confronto.
Due sono gli incentivi che conducono l’uomo alla deforestazione: legname e nuova terra. Abbiamo già abbattuto oltre 3 mila miliardi di alberi. La metà della foresta pluviale è andata. Perché non ci fermiamo? Non possiamo tagliare alberi all’infinito, dovremmo sapere che qualsiasi attività che non può essere svolta all’infinito è per definizione insostenibile.
1997
Popolazione mondiale: 5.9 miliardi
CO2 nall’atmosfera: 360 ppm
Biodiversità rimanente: 46%
Negli anni ’90 iniziammo a raccontare la vita nell’oceano. Inutile dire che fu un viaggio stupefacente. È talmente esteso che per la maggior parte è vuoto. Però alcune fortunate aree sono ricche di vita, sono le zone in cui le correnti trasportano i nutrienti e perciò anche dove enormi branchi di pesci si ritrovano per banchettare. Negli anni ’50 l’uomo imparò a riconoscere queste zone e iniziò a partecipare con reti e immensi pescherecci. I primi anni le navi tornavano in porto con tonnellate e tonnellate di pesce, ma presto le reti persero la loro capacità. La pesca era d’un tratto diventata così scarsa che i governi furono costretti ad offrire sussidi al settore. L’uomo era riuscito nell’impresa di far sparire il 90% dei pesci di taglia grande dall’oceano.
Il vero problema però è che senza pesci di grossa taglia il sistema marino entra in difficoltà. Questi pesci contribuiscono a mantenere in superficie i nutrienti, che a loro volta sono necessari al plancton per proliferare. Quando uno tra pesci, nutrienti e plancton viene a mancare, l’oceano si trasforma in un immenso deserto blu.
Non solo a largo, anche in prossimità delle coste la vita marina è stupefacente. Nel 1998, mentre giravamo Blue Planet, dei colleghi s’imbatterono in un fenomeno ancora poco conosciuto all’epoca: la barriera corallina sbiancava. La perdita di colore è causata dall’espulsione delle alghe con cui il corallo vive in simbiosi. A primo impatto il risultato sembra meraviglioso, in realtà è tragico: si tratta di ossa, scheletri di creature senza vita. Gli scienziati capirono che il fenomeno è dovuto al riscaldamento delle acque. Diversi ricercatori prima di allora avevano spiegato che il pianeta si sarebbe surriscaldato se avessimo continuato a bruciare combustibili fossili e rilasciare CO2 e altri gas ad effetto serra nell’atmosfera. Come dimostrano le linee della stratificazione rocciosa troppa anidride carbonica nell’atmosfera è incompatibile con la vita. Ci sono voluti milioni di anni di attività vulcanica per formare ciascuna di quelle linee, noi stiamo formando la prossima in meno di 200.
L’habitat più remoto è quello ai due poli. Sono talmente isolati che potrebbe sembrare impensabile riuscire ad intaccarli. E invece siamo arrivati anche là. Ho visto con i miei occhi quanto le estati artiche si siano allungate rispetto alla prima volta che ci sono stato. Mi è capitato di navigare acque mai navigate prima e di attraccare su isole sconosciute perché l’assenza di ghiaccio lo permetteva. Quando abbiamo trasmesso Frozen Planet nel 2011 le cause del disgelo erano note: oggi la temperatura globale è 1°C più alta di quando sono nato. Non ci sono precedenti negli ultimi 10.000 anni di storia. Il ghiaccio polare si è ridotto del 40% in 40 anni. Il ghiaccio sta scomparendo dal Pianeta. L’habitat dei poli è prossimo al collasso.
E noi ne siamo la causa: noi abbiamo riscaldato i poli; noi abbiamo alterato l’oceano; noi abbiamo abbattuto le foreste. Abbiamo messo a ferro e fuoco il Pianeta: metà della terra disponibile è coltivata; il 70% dei volatili sono domestici, per la maggior parte sono polli; rappresentiamo oltre il 30% del peso totale dei mammiferi viventi, la parte restante è data per il 60% dagli animali che alleviamo e mangiamo e soltanto per il 4% da animali che vanno dalle balene ai topi.
Il pianeta è nostro, è gestito dall’uomo per l’uomo. Non abbiamo lasciato spazio per altro. In media, dal 1950 ad oggi, la metà della popolazione animale selvatica è dimezzata. Il Pianeta non è più così selvaggio. La maggior parte del mondo non-umano è andato, sparito, eliminato, e siamo stati noi.
Questa è la mia testimonianza, è quello che anno dopo anno ho visto succedere di fronte ai miei occhi. È la storia di un declino avvenuto mentre nascevo, crescevo e invecchiavo. Però non finisce qui, se continuiamo a condurre questo tipo di vita il peggio deve ancora arrivare:
2020
Popolazione mondiale: 7.8 miliardi
CO2 nall’atmosfera: 415 ppm
Biodiversità rimanente: 35%
La scienza prevede che se fossi nato oggi, a 94 anni la mia testimonianza sarebbe la seguente:
La foresta amazzonica, disboscata fino a non essere più in grado d’essere fonte d’umidità, si trasformerà in un’arida savana, causando l’estinzione di migliaia di specie e l’alterazione del ciclo mondiale dell’acqua.
Allo stesso tempo il ghiaccio scomparirà dall’artico durante l’estate. Senza indossare quel cappello bianco, il Pianeta non riuscirà più a riflettere parte dell’energia solare e finirà per surriscaldarsi più velocemente.
2040
Nelle regioni del nord comincerà il processo di disgelo, la Terra rilascerà metano nell’atmosfera, un gas ad effetto serra molto più potente dell’anidride carbonica, che favorirà ulteriormente il cambiamento climatico.
2050
L’oceano continua a scaldarsi diventando sempre più acido, le barriere coralline moriranno e con queste la vita che le abita.
2080
La produzione globale di cibo entra in crisi. Le api, le farfalle e tutti gli insetti da impollinazione sono scomparsi.
2100
La temperatura del Pianeta è più alta di 4°C. La maggior parte della superficie terrestre è inabitabile. Milioni di persone sono senza casa. La sesta estinzione di massa è alle porte.
La prossima generazione assisterà alla fine dell’Olocene, il nostro Eden. Siamo sull’orlo di un precipizio, se non invertiamo la rotta la nostra civiltà cesserà di esistere e il mondo, per come oggi lo conosciamo, non ci sarà più. L’unica soluzione è agire, cambiare le nostre abitudini e il modo in cui lavoriamo. Dobbiamo dare al pianeta la possibilità di riprendersi dai torti subiti, crescere e reintegrare la biodiversità perduta. Riuscirci è più semplice a farsi che a dirsi: tra un secolo, se scegliamo i comportamenti e le attività giuste, il nostro pianeta potrebbe essere di nuovo stabile e ricco di vita.
Ad un certo punto tutte le specie hanno raggiunto un numero massimo di individui, hanno smesso di crescere e hanno trovato un equilibrio. Noi siamo diversi dagli altri animali, la nostra intelligenza ci ha permesso di superare ostacoli inimmaginabili e di andare oltre qualsiasi limite. Le proiezioni attuali prevedono che nel 2100 il mondo sarà abitato da 11 miliardi di persone. Però esiste un modo per rallentarci, persino arrestarci se vogliamo: quando la qualità della vita migliora, da un lato le aspettative e le opportunità delle persone aumentano, dall’altro il tasso di natalità diminuisce. Nella seconda metà del secolo scorso il Giappone è cresciuto in modo formidabile in tutti i settori. Allo stesso tempo il numero di figli per famiglia, che nel 1950 era superiore a tre, si è ridotto e nel 1975 in media ogni coppia non aveva più di due bambini. Come conseguenza la crescita della popolazione si è stabilizzata e il numero di cittadini giapponesi è rimasto più o meno invariato dall’inizio del nuovo millennio. È un fenomeno che si sta diffondendo: le nascite annuali nel mondo sono di poco superiori alle morti. Nei casi in cui la popolazione di un paese continua a crescere spesso il motivo è riconducibile all’allungamento dell’aspettativa di vita. In un futuro ormai prossimo la popolazione umana raggiungerà per la prima volta il suo picco massimo. Più aiutiamo le persone ad uscire dalla povertà, avere accesso alla sanità e all’istruzione, prima raggiungeremo il picco massimo. E prima lo raggiungeremo più sarà facile salvare il Pianeta. Perché non dovremmo volere più opportunità per tutti? Una vita migliore è ciò a cui l’uomo ha sempre aspirato. Il trucco è far sì che la qualità della vita migliori senza provocare altri danni al Pianeta. Come fare?
Potremmo fare a meno dei combustibili fossili e usare soltanto l’energia del sole, del vento, dell’acqua e della terra. All’inizio del secolo il Marocco dipendeva per quasi la totalità del suo consumo energetico da petrolio e gas d’importazione, oggi genera il 40% del suo fabbisogno attraverso tecnologie rinnovabili, tra cui il più grande sistema di pannelli solari al mondo. Entro il 2050 il Marocco potrebbe essere in grado di esportare energia solare e contribuire a soddisfare il fabbisogno energetico europeo. È previsto che tra vent’anni le rinnovabili saranno la fonte d’energia più utilizzata; potremmo anche fare in modo che diventi l’unica.
È assurdo credere che il settore finanziario investa i nostri risparmi in combustibili fossili quando quest’ultimi sono la causa primaria del cambiamento climatico, eppure succede. Il futuro è sostenibile. Le energie rinnovabili contribuiranno alla rinascita di oceani, terre e foreste.
Il Pianeta non può sopravvivere senza un oceano in salute. È un alleato fondamentale sia perché ci aiuta a ridurre le emissioni sia perché è un importante fonte di sostentamento. Più l’oceano è in salute più pesci ci saranno e più sarà possibile mangiarne. Palau è un’isola-stato del pacifico che dipende dall’esistenza della sua barriera corallina per la pesca e il turismo. Quando le autorità notarono che i pesci scarseggiavano a causa della pesca intensiva si sono impegnate nella creazione di parchi marini. All’interno delle riserve i pesci hanno avuto il tempo di crescere e riprodursi, quando il loro numero è aumentato sono tornati a popolare le acque dove la pesca era ammessa. Studi suggeriscono che se trasformiamo un terzo delle coste del Pianeta in riserve marine il pesce per sfamarci non mancherà mai.
Per quanto riguarda la Terra, è necessario che riduciamo drasticamente l’area destinata alla coltivazione. Il modo più veloce per riuscirci è cambiare la nostra dieta. I carnivori sono rari in natura perché per sfamarne uno servono tante prede. Nelle pianure del Serengeti per ogni predatore ci sono oltre cento prede. Il Pianeta non ha spazio per miliardi di carnivori.
Se la nostra dieta fosse prevalentemente basata sulla verdura avremmo bisogno di metà della terra che usiamo in questo momento. I Paesi Bassi sono una tra le nazioni più densamente popolate al mondo, come conseguenza gli olandesi hanno imparato a sfruttare nel migliore dei modi ogni singolo ettaro disponibile. E hanno imparato a farlo in modo sostenibile: i raccolti sono dieci volte quelli di due generazioni fa e allo stesso tempo impiegano meno acqua, meno pesticidi e meno fertilizzanti. Nonostante le dimensioni ridotte i Paesi bassi sono il secondo più grande esportatore di cibo.
Anche le foreste sono fondamentali perché il Pianeta torni ad essere quello di un tempo. Ci aiutano a liberarci dei gas a effetto serra e rappresentano la principale casa per la biodiversità terrestre. Dobbiamo smettere di deforestare, smettere di piantare palme, usiamo quelle che abbiamo, sono già troppe.
Un secolo fa tre quarti del Costa Rica era foresta. Nel 1980, a causa della deforestazione, si era ridotta ad un quarto del territorio dello stato. Il governo prese in mano la situazione e attraverso incentivi di varia natura è riuscito in venticinque anni a riconsegnare metà del paese alla foresta. Dovremmo fare lo stesso in tutto il Pianeta, le ritrovate porzioni di foresta ci aiuterebbero nella lotta al cambiamento climatico.
Per concludere, nonostante le ferite che le abbiamo inferto, la natura rimane il nostro più grande alleato. Se ce ne prendiamo cura, lei si prenderà cura di noi. Siamo alla fine di un percorso: dieci mila anni fa, come cacciatori raccoglitori, vivevamo in modo sostenibile perché era l’unica possibilità che avevamo, oggi, dopo migliaia di anni, è tornata ad essere l’unica. Però non l’unica per il Pianeta. La verità è che con o senza di noi la natura si riprenderà il ruolo che le spetta.
Chernobyl è l’esempio perfetto: nei trent’anni di abbandono la natura si è impadronita della città. Piante e alberi si intrecciano con i palazzi e gli animali camminano per stanze che una volta erano abitate da famiglie. Per quanto i nostri errori possano essere grandi la natura è in grado di superarli. Noi, al contrario, non possiamo farlo. Se vogliamo continuare ad esistere dobbiamo imparare a convivere con il resto del Pianeta.
elisabetta reynaud dice
grazie.Ho molto da imparare e voglio poter fare qualcosa anch’io