Era il 2018 quando la Cina rilasciò il suo White Paper, un documento che come molti altri deriva potere dalla sua valenza simbolica, più che dal suo contenuto innovativo, nel quale vengono esplicitate le mire espansionistiche della Cina nell’Artico. A suscitare grande stupore tra gli analisti di geopolitica, che ormai da tempo seguivano gli FDI della Cina verso i Paesi della regione artica, è stato, tuttavia, quello che oggi, un narratore che si definisce al passo con i tempi, chiamerebbe il suo coming-out.
Già nel 1925, infatti, la Cina firmò il Trattato di Svalbard, un documento con il quale alla Norvegia veniva riconosciuta sovranità sull’arcipelago Svalbard dalla comunità internazionale firmataria, in cambio della possibilità di condurvi attività economiche. La Cina, la cui perseveranza nel compiere piccoli passi tesi a progetti megalomani affonda dritta nel confucianesimo, fece di quel documento il presupposto per i successivi 80 anni di investimenti e progetti che molto probabilmente le garantiranno un ruolo di pole-position sul podio degli Stati che osserveranno il resto del mondo combattere nella guerra alle risorse energetiche. La sua strategia? La combinazione di due diplomazie diverse…
La scientific diplomacy
In breve, è quel tipo di diplomazia che mentre vedeva in Cina Kissinger giocare a ping pong con Mao per salvare gli equilibri mondiali, nell’Artico silenziosamente si serviva di scienziati ed investimenti sulla ricerca per capire a quanto ammontavano le risorse energetiche che avrebbero potuto sostenere la loro crescita economica, da sempre basata su logiche di economia di scala e ribassi dei costi di produzione. In questo stesso periodo, la Cina intraprende una spedizione nell’Artico con il più grande rompighiaccio, non a scopi militari, dell’epoca (1994), suggestivamente ribattezzato Xue Long, drago di neve, a cui seguirà Xue Long 2 (2019), in seguito essa si unisce all’International Arctic Science Committee (1996) e si stabilizza nelle Svalbard con la Yellow River Station (2004) da cui conduce ricerche che non vengono mai pubblicate nella loro forma integrale. Nel frattempo, tra i 10 punti nel programma di ricerca sull’Artico, vengono menzionati i fattori militari, i trasporti e lo sfruttamento delle risorse.
La dollar diplomacy
È figlia del suo tempo, ma discendente di diplomazie basate su una logica sempiterna: fare proposte che non possono essere rifiutate perché non ci sono valide alternative.
In seguito alla crisi economica del 2008, la Cina propone investimenti a Groenlandia ed Islanda che avranno, rispettivamente, l’11.6% ed il 5.7% di incidenza sul loro PIL. In particolare, tre sono i settori-chiave di destinazione per tali investimenti: infrastrutture, energia, estrazione mineraria. Così la compagnia COSCO inizia la costruzione del porto Finnafjord in Islanda, mentre alla Shenghe è concessa l’ acquisizione delle cosiddette Terre Rare (REEs, Rare Earth Elements), presso Kvanefjeld, che costituiscono componente fondamentale dell’attuale strumentazione tecnologica. È l’inizio della Via Polare della Seta.
La Via Polare della Seta
Prolungamento della più conosciuta Via della Seta (Belt and Road Initiative), questa terza alternativa alla rotta Nord-Est e a quella Nord-Ovest verso l’Artico, consentirà non solo di risparmiare tempo e danaro per la Cina, ma anche di evitare punti d’influenza statunitense, quali il Canale di Suez, il Capo di Buona Speranza e lo Stretto di Malacca. I presupposti per una calorosa accoglienza della Cina nella regione ci sono tutti, specialmente in virtù della collaborazione storica con la Russia, dalla quale sono già nate iniziative tra le rispettive compagnie nazionali di gas naturale e petrolio, un esempio ne è lo Yamal LNG Project.
È stimato che l’Artico conservi il 30% delle riserve di gas naturale mondiale e il 13% del petrolio, lo scioglimento progressivo, e ormai quasi inevitabile, delle calotte polari, non farà che rendere ancora più facile l’accesso a chi ha già rivolto le sue mire espansionistiche nella regione. Insomma, pensare che l’Artico sia un luogo lontano e quasi fiabesco che non ci riguarda è sbagliato e se non ne prendiamo consapevolezza il nostro orso polare avrà presto gli occhi a mandorla!!!
Lascia un commento