Il surriscaldamento globale e gli eventi climatici sempre più estremi hanno innescato un processo di ricerca di energie alternative peri ridurre l’impatto umano sul pianeta, diminuendo le emissioni di C02.
Il litio costituisce, teoreticamente e fattualmente, il materiale attraverso il quale vi potrà essere l’auspicata transizione verso energie pulite: una vera e propria metamorfosi di paradigma energetico. Infatti con questo materiale si producono batterie di ogni tipo da quello dei telefoni fino alle batterie delle macchine elettriche a “emissione zero”.
Un segno della grande rilevanza di questo materiale è l’assegnazione avvenuta nel 2019 del Nobel per la chimica John Goodenough, M. Stanley Whittingham e Akira Yoshino, appunto per lo sviluppo delle batterie ioni-litio. Per il 2025 se ne prevede la produzione di otto miliardi di pezzi. In breve tempo, inoltre, il costo del carbonato di litio è raddoppiato salendo a 13 mila dollari per tonnellata.
Palese è la presenza di grossi interessi economici dietro il mercato del litio, in tutte le sue fasi di lavorazione: ricerca, estrazione, trasporto lavorazione e vendita.
La “corsa all’ora bianco” ha una destinazione ben specifica: i Salares della regione andina del Sud America, il così detto “Triangolo del litio” (Argentina, Cile e Bolivia) possiede l’80% delle riserve mondiali di questo materiale così prezioso.
Sul podio troviamo la Bolivia che, con i suoi 9 milioni di tonnellate è il secondo paese per riserve di “oro bianco”, la sua miniera a cielo aperto è il Salar de Uyuni, la più grande distesa salina del mondo ad oltre 3.600 metri sul livello del mare.
La Bolivia, il paese più povero del Continente sud Americano, vede nel litio il suo trampolino di lancio per uno sviluppo economico e sociale, si prefigura come il prossimo “Emirato” ricco e geo-politicamente cruciale; ma sarà veramente così?
Se da un lato l’industria sta progredendo sempre più rapidamente verso un cambio di paradigma, dall’altro l’impatto ambientale di questo processo di industrializzazione necessita e merita di essere tenuto in considerazione visto che le riserve di questo metallo coincidono con le realtà naturali e paesaggistiche più notevoli al mondo.
Nel 1980 un operatore turistico della Paz, Juan Quesada Valda, scoprì ”la Perla boliviana”: il Salar de Uyuni un deserto di sale di 10.000 chilometri quadrati, con un ecosistema singolare, una biodiversità unica nel suo genere e una comunità indigena di agricoltori e pastori.
Nonostante un’affluenza turistica importante, la distesa di sale ospita ancora oggi fenicotteri, lama e campi di quinoa.
I profitti derivanti dal turismo così come il progetto di ottenere la nomina del Salar a patrimonio dell’Umanità da parte dell’Unesco sono passati silentemente in secondo piano nell’agenda del Governo, distratto da interessi economici di diversa natura. La Bolivia infatti si è data l’obiettivo di lungo termine di diventare il primo produttore mondiale di litio, a tal proposito nel 2018 ha consentito l’arrivo di investimenti stranieri, che hanno dato vita a una joint-venture: la compagnia Yacimientos de Litio Boliviano (Ylb) e la società tedesca Aci System Alemania GmbH hanno stretto un contratto di collaborazione.
L’estrazione mineraria del litio, come ogni altra estrazione mineraria, comporta inesorabilmente un impatto socio-ambientale: luoghi di rilevanza culturale/religiosa, come il monte Lipi luogo sacro alla comunità Aymara, non sono più accessibili.
Il processo di estrazione prevede l’uso di prodotti chimici, tossici e di grandi quantità di acqua dolce.
Per ottenere una tonnellata di litio sono necessari 2 milioni di litri d’acqua, la quale viene estratta da bacini sotterranei naturali, denominati falde de “agua fosiles”. La ricaduta socio-ambientale è particolarmente drammatica in questo caso, proprio perché questi bacini antichissimi si sono formati e sviluppati in condizioni climatiche profondamente diverse rispetto a quelle attuali, con livelli d’umidità di molto maggiori.
L’acqua è un elemento fondamentale nell’ecosistema del Salar, l’accesso è essenziale per il mantenimento della biodiversità e per la sopravvivenza delle popolazioni locali.
Il paradosso è inevitabile: green economy ed energie pulite, che si prefigurano come soluzione alle problematiche legate al riscaldamento globale e allo sfruttamento di combustibili fossili, in questo caso, sono l’ennesima causa di disastri ambientali e violazione dei diritti delle popolazioni andine.
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