Quattordici anni fa la FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, pubblica quello che è considerato uno dei lavori più completi e ampi riguardo la valutazione degli impatti del settore zootecnico sui problemi ambientali, il report “Livestock long shadow” del 2006. Quest’ultimo non si limita a valutare dettagliatamente le diverse influenze del settore zootecnico mondiale sull’ambiente, la “lunga ombra del bestiame”, fornisce anche relativi approcci tecnici e politici per ridurre e mitigare gli effetti di questa ombra.
Fornisce un quadro per valutare il ruolo significativo e dinamico del settore zootecnico nel guidare il cambiamento ambientale globale. Quadro che dovrebbe servire per aiutare e migliorare il processo decisionale delle azioni necessarie a tutti i livelli, dal locale al globale, dal privato al pubblico, dal singolo al corporate e dal non governativo all’intergovernativo.
“Livestock long shadow” è stato commentato e contestato, dichiarato di essere impreciso e conservativo e, trattando di un settore potente, screditato.
Nonostante questo, la sua completezza e complessità non può essere messa in discussione, ancora meno in relazione all’obiettivo del report: sensibilizzare sia i tecnici che il pubblico in generale sul contributo dell’allevamento e l’agricoltura al cambiamento climatico, all’inquinamento atmosferico, al degrado del suolo, dell’acqua e alla riduzione della biodiversità.
Tenendo conto della datazione non attuale dei dati dei report e di uno scenario del settore zootecnico che risale a 14 anni fa, l’impatto dello stesso settore non è diminuito e la domanda di proteine animali dalla popolazione è in aumento.
Ciò che può essere attualizzato di questo studio, incorporandone anche di più recenti, è la valutazione dei fattori d’impatto del settore zootecnico, in termini non solo di impatto ambientale ma anche di importanza economica e sociale che l’ombra del bestiame porta con sé. Questi fattori sono oggi più che mai delle sfide e delle dimensioni che vengono prese in considerazione per elaborare decisioni politiche a tutti i livelli.
Esistono già delle soluzioni, opzioni politiche e applicazioni pratiche che promettono di alleviare parte del carico ambientale del bestiame, quindi perché tante di queste soluzioni non sono ampiamente applicate?
Sembra che manchino due cose. In primo luogo, vi è una mancanza di comprensione della natura e della portata dell’impatto del bestiame sull’ambiente, tra i produttori, i consumatori e i responsabili delle politiche allo stesso modo.
Le interazioni bestiame-ambiente non sono facilmente comprensibili, molti degli impatti sono indiretti e non ovvi, è quindi facile sottovalutare l’impatto del bestiame su questioni come l’uso del suolo, cambiamenti climatici, l’acqua e la biodiversità.
In secondo luogo, e in parte a causa della mancanza di comprensione, un quadro politico che favorisca pratiche più rispettose dell’ambiente in molti casi non esiste. Spesso i quadri esistenti affrontano molteplici obiettivi e mancano di coerenza. Peggio ancora, le politiche esistenti spesso esacerbano l’impatto del bestiame sull’ambiente.
La negligenza a volte può essere cosciente e deliberata. In molti paesi poveri e a reddito medio, l’approvvigionamento e la sicurezza alimentare, nelle loro definizioni ristrette, hanno la priorità rispetto alle preoccupazioni ambientali. Esistono prove concrete che collegano la preoccupazione ambientale e la volontà di agire per la protezione ambientale ai livelli di reddito. La relazione tra reddito e degrado ambientale è descritta da un grafico a forma di “U” rovesciata, che aumenta dapprima all’aumentare dei redditi, poi quando i redditi aumentano ulteriormente, inizia a diminuire.
La trascuratezza dell’impatto ambientale può a volte essere motivata dalla convinzione nelle scarse possibilità di successo dei possibili rimedi. Le centinaia di milioni di allevatori in stato di povertà dai quali, secondo molti, non ci si può aspettare che cambino il modo di operare, in assenza di mezzi di sussistenza alternativi, sono probabilmente l’esempio più eclatante.
È per questo importante non limitarsi ad una cieca valutazione ambientale del settore zootecnico, ma abbracciare una valutazione più lata e articolata che comprenda l’analisi delle sfere economiche e sociali attorno all’allevamento affinché le decisioni politiche possano essere pensate ed attuate per i vari contesti.
Il settore dell’allevamento, come gran parte dell’agricoltura, svolge un ruolo economico, sociale e ambientale complesso. La società si aspetta che il settore continui a soddisfare a buon mercato la crescente domanda mondiale di prodotti animali, in modo rapido e sicuro. Tutto ciò agendo in modo sostenibile dal punto di vista ambientale, gestendo al contempo l’incidenza e le conseguenze delle malattie degli animali e fornendo opportunità di sviluppo rurale, riduzione della povertà e sicurezza alimentare.
Dato il gran numero delle persone che dipendono dal bestiame per la sicurezza alimentare e il sostentamento e gli elevati costi ambientali e sanitari spesso associati al settore, la sfida per i responsabili politici è quello di trovare un sottile equilibrio tra obiettivi concorrenti. La zootecnia contribuisce a meno del 2% del PIL globale ma produce circa il 18% delle emissioni globali di gas serra (GHG) e allo stesso tempo sostiene i mezzi di sussistenza e la sicurezza alimentare di quasi un miliardo di persone.
Inoltre, è uno dei settori in più rapida crescita dell’economia agricola, soprattutto nei paesi in via disviluppo, guidato dalla crescita del reddito e sostenuto dal cambiamento tecnologico e strutturale.
Fattori dal lato dell’offerta, come la globalizzazione delle catene di approvvigionamento per i mangimi, il patrimonio genetico e altre tecnologie, stanno ulteriormente trasformando la struttura del settore.
Settore che è complesso e differisce drammaticamente a seconda del contesto socioeconomico manifestandosi nella crescita progressiva di un divario; i produttori industriali su larga scala servono mercati dinamici in crescita mentre i pastori tradizionali ed i piccoli agricoltori, pur continuando spesso a sostenere i mezzi di sussistenza locali e fornire sicurezza alimentare, si trovano bloccati in una situazione di precarietà e marginalità ignorati da aiuti politici.
È senza dubbio certo che la crescita e la trasformazione del settore offrono opportunità di sviluppo agricolo, riduzione della povertà e guadagni in termini di sicurezza alimentare, ma il rapido ritmo del cambiamento minaccia di emarginare i piccoli proprietari e i rischi sistemici per l’ambiente e per la salute umana devono essere affrontati per garantire la sostenibilità nel tempo.
È fondamentale includere nel ragionamento, anche politico, l’accezione culturale dell’allevamento, in molti paesi in via di sviluppo, è per esempio un’attività multifunzionale. Al di là del loro ruolo diretto nella generazione di cibo e reddito, il bestiame è una risorsa preziosa, che funge da riserva di ricchezza, garanzia per il credito e una rete di sicurezza essenziale durante i periodi di crisi. Circa 600 milioni delle famiglie più povere del mondo considerano il bestiame una fonte di reddito essenziale.
Poiché l’allevamento del bestiame non richiede un’istruzione formale o grandi quantità di capitale, e spesso nessuna proprietà terriera, è spesso l’unica attività economica accessibile ai poveri nei paesi in via di sviluppo. In molte aree marginali dei paesi in via di sviluppo, la produzione di bestiame è espressione della povertà di persone che non hanno altra scelta e non hanno nemmeno i mezzi per contrastare il degrado ambientale. L’enorme numero di persone coinvolte nella gestione del bestiame per mancanza di un’alternativa, in particolare in Africa e in Asia, è una considerazione importante per i responsabili politici e qualsiasi tentativo di affrontare il degrado ambientale associato al bestiame deve tenere conto di queste preoccupazioni relative al sostentamento.
Al contrario, nei paesi sviluppati, decenni di continui mutamenti strutturali hanno ridotto il numero di persone impegnate nella produzione di bestiame, il che è più in linea con il modesto contributo economico del settore.
Potenti forze di cambiamento economico stanno trasformando il settore dell’allevamento in molti paesi in rapida crescita. La produzione di bestiame, soprattutto di suini e pollame, così come quello bovino, sta diventando più intensivo, concentrato geograficamente, integrato verticalmente e collegato alle catene di approvvigionamento globali. Standard più elevati in materia di salute degli animali e sicurezza alimentare stanno migliorando la salute pubblica, ma stanno anche aumentando il divario tra piccoli allevatori e grandi produttori commerciali. Alla “scala del bestiame”, attraverso la quale i piccoli agricoltori salgono la scala della produzione e escono dalla povertà, mancano diversi gradini, il bestiame può fornire una via d’uscita dalla povertà per alcuni piccoli agricoltori e i responsabili politici devono tenerlo in considerazione.
Ad ora, il settore non ha contribuito tanto quanto avrebbe dovuto alla riduzione della povertà e alla sicurezza alimentare. Né la crescita del settore è stata adeguatamente gestita per far fronte alle crescenti pressioni sulle risorse naturali o per fornire il controllo e la gestione delle malattie degli animali. La correzione dei fallimenti del mercato è quindi un’importante motivazione alla base dell’intervento di politica pubblica.
È necessaria un’azione decisiva se si vuole soddisfare la crescente domanda, che sia sostenibile dal punto di vista ambientale e che possa contribuire alla riduzione della povertà e al miglioramento della salute umana, il tutto armonizzato alle diverse velocità di sviluppo dei diversi sistemi e realtà produttive.
Il contributo del settore dell’allevamento alla riduzione della povertà dovrebbe essere rafforzato mediante adeguate riforme politiche e investimenti in un quadro di più ampie politiche di sviluppo rurale.
La governance del settore zootecnico dovrebbe essere rafforzata per garantire che il suo sviluppo sia sostenibile dal punto di vista ambientale ma anche sociale ed economico e che si adatti e contribuisca a mitigare il cambiamento climatico. Nonostante le varie difficoltà, l’impatto della zootecnia sull’ambiente locale e globale è così significativo che deve essere affrontato con urgenza. L‘informazione, la comunicazione e l’istruzione giocheranno un ruolo critico per la promozione di una maggiore disponibilità ad agire.
I consumatori, per la loro forte e crescente influenza nel determinare le caratteristiche dei prodotti, saranno probabilmente la principale fonte di pressione commerciale e politica per spingere il settore zootecnico verso forme socialmente ed ambientalmente più sostenibili.
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