In questo periodo di pandemia, parlare di viaggi significa riportare alla mente qualcosa di perso, di non attuale, di quasi dimenticato. Il piacere di visitare nuovi luoghi, o anche solo di fantasticare e pianificare, ci è stato tolto con incredibile rapidità dal virus. Se inizialmente i Paesi hanno chiuso le proprie frontiere, riducendo al minimo gli ingressi extranazionali, con l’aumentare dei contagi ed il ricorso alle misure di contenimento anche gli spostamenti interni sono stati fortemente limitati, arrivando nei casi più severi al divieto di qualsivoglia dislocazione perfino da una città ad un’altra.
Non c’è da stupirsi, quindi, che il settore del turismo sia stato uno dei più duramente colpiti dalla pandemia. In ambito europeo, l’unica parentesi di aria fresca che le attività turistiche hanno avuto in questo anno difficile è rappresentata dal periodo estivo, seppur limitata e non eguagliabile alle stagioni pre-Covid. Con molte imprese che non avranno più la possibilità di riprendersi e migliaia (se non milioni) di posti di lavoro andati in fumo, il 2020 rappresenta un vero e proprio annus horribilis per il turismo a livello europeo e mondiale. E non è detto che sia l’ultimo, anzi, le previsioni degli esperti sono pessimistiche a tal proposito.
Ma la pandemia finirà, e si tornerà a viaggiare. È questa la premessa con cui l’Organizzazione Mondiale del Turismo (United Nations World Tourism Organization, UNWTO) si propone di ricostruire un settore che oggi più che mai ha bisogno di uno sforzo coordinato per uscire dalla crisi che lo attanaglia. E come professa il (falso) mito secondo cui in lingua cinese i termini “crisi” e “opportunità” corrispondono, l’UNWTO vuole cogliere questa sfida per proporre un’idea nuova di turismo, più consona agli scenari attuali e perciò più sostenibile a livello sociale e ambientale. Perché come si è letto fin dalle prime settimane di pandemia, “Non torniamo alla normalità, perché la normalità era il problema” – una frase che è già uno slogan -, ed il settore turistico, com’è ben noto, ha spesso inasprito problemi in tutti i territori in cui si è sviluppato. Se da un lato è vero che il turismo ha contribuito allo sviluppo delle economie nazionali, dall’altro ha permesso lo scempio di zone naturali incontaminate e, nei casi più gravi, ha favorito l’intensificarsi di diseguaglianze sociali, specie nei paesi più poveri, dove ha rappresentato una sorta di “colonizzazione 2.0”.
È quindi arrivata l’ora di pensare a un turismo nuovo, in attesa che si possa ricominciare a viaggiare. Tutti noi possiamo fare la nostra piccola parte, attuando semplici comportamenti che possono rappresentare un aiuto concreto per le persone e gli animali che popolano il luogo di destinazione, oltre a non nuocere al nostro pianeta.
A livello di sostenibilità ambientale, molto importante è la scelta dei mezzi di trasporto. Notoriamente l’impatto più consistente è rappresentato dai voli aerei, molto inquinanti: quando è possibile è meglio optare per veicoli più puliti, quali in primis i treni. Se volare rimane una scelta obbligata, si dovrebbe optare per aerei alimentati a biofuel e che non prevedano scali (il decollo e l’atterraggio sono i momenti in cui viene consumato più carburante). Una volta arrivati a destinazione è bene limitare l’uso di taxi e prediligere biciclette o mezzi di trasporto pubblico locali, tra l’altro un ottimo modo per immergersi nella cultura locale e vivere appieno l’esperienza di viaggio. Dove è possibile, e non pericoloso, un’interessante opzione è costituita dai servizi di co-sharing, che permette la condivisione di auto e taxi con altri viaggiatori.
Un altro aspetto significativo riguarda la scelta della struttura ricettiva, che dipende molto dalla tipologia di viaggio che si sta facendo. Nati insieme alla diffusione del turismo di massa, nella metà del secolo scorso, i villaggi turistici sono diventati il simbolo della vacanza rilassante ed esotica, tant’è vero che ormai sono presenti sulle spiagge e sui monti di quasi ogni nazione del mondo. Questi “templi del turista moderno”, concepiti prevalentemente da Tour Operators europei e nordamericani, offrono una grande varietà di comfort, secondo l’ormai nota formula dell’All Inclusive. Il viaggiatore attento alla sostenibilità, però, dovrebbe preferire villaggi che si siano impegnati nella salvaguardia ambientale e che siano stati riconosciuti da organizzazioni a tal proposito; inoltre, è importante che la struttura in questione coinvolga la popolazione locale con la creazione di posti di lavoro e investimenti nella comunità. Un’altra e ancor più preferibile possibilità consiste nell’optare per hotel o appartamenti di proprietà dei locali: il livello di servizi offerti potrebbe essere meno elevato rispetto a quello dei villaggi, ma è sicuramente un modo per conoscere maggiormente la cultura di cui il luogo è impermeato, oltre a favorire direttamente gli abitanti locali. Infine, tra le strutture ricettive è doveroso citare anche gli ostelli, adatti ad una clientela più spartana: se un tempo erano rivolti soprattutto ai giovani, ormai sono frequentati da viaggiatori di tutte le età, e molti di loro hanno fatto della sostenibilità un vero e proprio stendardo, per il quale si impegnano con buone pratiche antispreco. Ma che scegliamo un villaggio turistico, un hotel o un ostello, sta a noi viaggiatori essere più attenti possibile all’ambiente: facciamo docce più brevi (in particolar modo nelle località dove l’acqua scarseggia), chiediamo agli albergatori di non cambiarci le lenzuola e gli asciugamani ogni giorno se non davvero necessario e informiamoci sulle norme di riciclaggio locali per i nostri rifiuti.
È bene altresì valutare con cura le attività che decidiamo di svolgere durante il viaggio. In alcuni Paesi lo sfruttamento degli animali a fini turistici è una realtà diffusa che approfitta dell’ignoranza dei visitatori sui retroscena di questo fenomeno. Pratiche apparentemente innocue come cavalcare un elefante nelle foreste tailandesi o scattarsi una foto con un coccodrillo mezzo addormentato nel sud degli Stati Uniti richiedono un substrato di soprusi non indifferente, finanziato da turisti ignari o malevolmente compiacenti. Sebbene qualcosa stia lentamente cambiando, come la recente decisione del governo egiziano di vietare il trasporto di persone sul dorso di cammelli, cavalli e asini intorno alle Piramidi di Giza, il processo verso un turismo più giusto nei confronti degli animali è ancora lungo, e spetta ai viaggiatori informati evitare tali attività.
Fondamentale è poi acquistare souvenir frutto dell’artigianato locale, diffidando di oggetti provenienti dall’estero e in particolar modo dal commercio illegale. Una pratica sconsigliata nei paesi più poveri è l’elemosina, pratica che spesso finisce con il nuocere più che con l’aiutare: molto meglio una donazione ad un’associazione locale che si occupa dei meno abbienti.
La lista dei comportamenti virtuosi che possiamo attuare in veste di turisti è ancora molto lunga, ma sicuramente necessaria, poiché prima ancora che il turismo entrasse nell’attuale crisi economica, era già da tempo in una profonda crisi morale: viaggiare dall’altro capo del mondo non era più solo scoprire nuove località e culture, ma anche portare con sé nuove problematiche sociali e ambientali: una riproposizione dell’antico teorema “invasore ricco-locale povero”, dove l’invasore non è più armato di baionetta bensì di carta di credito, ma il locale resta escluso da qualsiasi possibilità di reale beneficio dallo sfruttamento del suo territorio. Tocca perciò alle imprese del settore, e in parte a noi stessi, il compito di ristrutturare un’idea di turismo che possa uscire con decisione sia da una che dall’altra crisi, e tornare a essere uno strumento per lo sviluppo delle comunità e la salvaguardia del pianeta.
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