L’industria tessile è tra le prime tipologie di industrie più inquinanti al mondo. In base ai dati dell’Oekom Research si nota come più del 50% delle aziende appartenenti al settore tessile non abbia ancora adottato misure necessarie a ridurre l’impatto ambientale. Ogni anno vengono prodotte oltre 1,7 miliardi di tonnellate di CO2, e miliardi di metri cubi di acqua sono impiegati per la produzione di ciò che indossiamo.
Siamo ancora troppo organizzati e legati attorno ai combustibili fossili e questo nostro uso estremo sta per cambiare drasticamente il mondo in cui viviamo.
I colpevoli siamo noi?
Il nostro consumismo esasperato ha portato le aziende a produrre capi di abbigliamento in paesi sottosviluppati perché il costo del lavoro è molto basso e non sono presenti controlli ambientali. Il desiderio di avere sempre l’ultimo capo esposto nei negozi, la disponibilità di capi a prezzi accessibili a buona parte della popolazione, la facilità e l’istantaneità con cui si possono fare acquisti, ci ha portato sempre più ad essere complici di questa infelice realtà. Non avete mai pensato a cosa si nasconde dietro ai 4,99 € di una t-shirt?
La crudele realtà
Ci troviamo di fronte a una realtà che lascia riflettere molto. Dietro all’ipotetica t-shirt da 4,99 € si trovano operai sfruttati, pagati 2 dollari al giorno, costretti a lavorare in condizioni disumane in strutture in cui la sicurezza è incerta. Pensate che per la sua singola produzione servono circa 2700 litri di acqua (circa 25 vasche da bagno piene), parte dei quali è acqua reflua inquinante. Tutto ciò ha determinato l’aumento di effetti negativi sulla salute. L’Istituto Superiore di Sanità, ISS, di Roma, in un rapporto, ha evidenziato che una maggiore probabilità di sviluppare patologie è data dalla contaminazione delle acque, in particolare si registrano incrementi di malattie come il cancro, danni ai reni, gastriti croniche, malattie reumatiche e cardiache, epatiti e diverse altre.
Una nuova scoperta?
Lo Streptomyces coelicolor è un batterio che si trova nel terreno, vive insieme ad altri organismi e decompone la materia organica. È il produttore di un antibiotico chiamato Actinorodina, che può avere diversi colori a seconda dell’acidità dell’ambiente. Se si fa crescere lo Streptomyces coelicolor direttamente sulla seta, si può notare che produce diversi pigmenti. Se si riuscisse a generare una quantità di cellule in grado di colorare tutta la stoffa, si potrebbero produrre abiti con una quantità di acqua estremamente inferiore a quella utilizzata attualmente. Per colorare una t-shirt con questa modalità si utilizzerebbero solo 200 ml di acqua e questo processo, a sua volta, genererebbe pochissime acque reflue e produrrebbe un pigmento resistente al lavaggio senza l’utilizzo di prodotti chimici. Al momento, a Boston, si sta lavorando per capire come mettere in pratica questo processo utilizzando le nuove tecnologie per poter continuare a produrre evitando di incrementare i danni provocati dall’utilizzo del petrolio.
Verso un piccolo grande cambiamento
Negli ultimi anni qualcosa sta cambiando, ma ancora troppo lentamente. Sono molti i brand che hanno deciso di porre maggiore attenzione alla produzione di capi sostenibili. I più meritevoli vengono premiati al Green Carpet Fashion Awards, una manifestazione di recente sviluppo che è stata organizzata con il supporto del Ministero dello Sviluppo Economico, ICE Agenzia e del Comune di Milano, con l’obiettivo di premiare e rendere noto l’impegno delle Case di moda in materia di sostenibilità. Sebbene determinate aziende si definiscano e siano definite di Moda sostenibile è importante soffermarsi ed informarsi sulle reali iniziative di sostenibilità attuate. Diverse aziende hanno iniziato a tracciare i materiali lungo i processi di produzione e hanno trovato nelle nuove tecnologie digitali dei supporti validi per essere sempre aggiornate e per condividere tutte le informazioni riguardanti i prodotti creati. È stato sviluppato un software in grado di monitorare e auto-valutare le aziende relativamente a prodotti e sostanze reflue. Lo scopo del monitoraggio delle sostanze critiche è quello di arrivare nei prossimi anni all’eliminazione dai tessuti di composti iperfluorurati, pericolosi per l’ambiente e la salute umana.
Delle alternative alla Fast fashion
Purtroppo, molti capi di abbigliamento dichiarati sostenibili sono venduti a prezzi non accessibili a tutta la popolazione perché la moda sostenibile richiede l’uso di materiali organici, materie di prima qualità, biodegradabili o riciclabili, fibre naturali certificate che permettono di prolungare la durata effettiva dell’abito. Ma ci sono sempre delle soluzioni alternative che permettono a tutti di avere un capo sostenibile evitando di incrementare l’impatto ambientale. È importante analizzare ciò che si ha, riparare eventuali difetti o rotture non consistenti, acquistare capi usati, riadattarli, e se sono presenti dei dettagli che non ci piacciono reinventarli. L’alternativa c’è se la volontà c’è!
È difficile cambiare noi stessi e le nostre abitudini che sono ancorate a noi, ma di abitudini si parla, quindi, di un qualcosa di acquisito. Aiutiamo il nostro pianeta e riduciamo al minimo l’impatto ambientale.
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