Mercoledì 21 ottobre 2020 i ministri dell’Ue sono giunti ad un accordo sulla riforma della PAC post-2020. Il nuovo piano di finanziamenti, che rappresenta un terzo del bilancio europeo, prevede che vengano stanziati 387 miliardi di euro per i prossimi sette anni (2021-2027) a favore di circa 9 milioni di agricoltori europei.
Questa nuova riforma PAC è stata fortemente criticata in quanto discostante dagli obiettivi del Green Deal e From farm to fork (dal campo alla tavola) volti al raggiungimento della sostenibilità dei sistemi alimentari entro il 2030. Greenpeace afferma che: “negli ultimi 60 anni, la politica agricola europea è stata totalmente cieca rispetto all’impatto dell’agricoltura sull’ambiente e con questa decisione il Parlamento Ue non fa altro che continuare volontariamente in questa direzione, ignorando gli avvertimenti della scienza sulla necessità di invertire rotta per affrontare la crisi climatica.”
Il giudizio negativo nasce in primis dal fatto che il 60% del budget continuerà ad essere erogato con la forma dei pagamenti diretti, ovvero sovvenzioni proporzionali all’estensione della superficie coltivata e al numero di capi posseduti. Ciò significa che i maggiori beneficiari saranno i grandi proprietari terrieri, che hanno un legame debole o nullo con la conversione green, e che spesso non porgono attenzione a temi quali la biodiversità e l’obiettivo “zero emissioni”.
In questo modo si continuerà a finanziare un sistema di agricoltura intensiva, che da anni gli scienziati denunciano come una delle principali cause responsabili del cambiamento climatico. Solo il 6% delle sovvenzioni finirà nelle tasche dei piccoli-medi agricoltori e gli Stati avranno la possibilità di destinare il 2% della quota per i pagamenti diretti a sostegno dei giovani agricoltori. Numeri sicuramente insufficienti visto è proprio da questi soggetti che si potrebbe ripartire per costruire un modello agroalimentare alla base di sistemi alimentari più sostenibili e resilienti.
Il 20% dei finanziamenti del primo pilastro (riguardante i pagamenti diretti) verranno destinati a politiche verdi attraverso gli eco-schemi, strumento volto ad incentivare gli agricoltori a migliorare le prestazioni ambientali e climatiche. Verranno promosse, ad esempio, pratiche di agricoltura sostenibile tra cui agricoltura biologica e di precisione. Per quanto riguarda lo sviluppo rurale, contenuto nel secondo pilastro, verranno destinate il 30% delle risorse alle misure agro-climatico-ambientali. Questi numeri sono tuttavia insufficienti, in quanto farebbero fallire il raggiungimento dell’accordo di Parigi sul clima (mantenere l’aumento delle temperature al di sotto dei 2°C).
Si pone in aggiunta un altro problema: l’adozione delle pratiche ambientali virtuose sarà facoltativa per gli agricoltori. Di fatto, vi sarà un meccanismo premiale con dei pagamenti supplementari per coloro che applicheranno misure più ambiziose di quanto richiesto. Inoltre, carta bianca verrà lasciata agli Stati membri nell’ambito dell’allocazione delle risorse per le diverse pratiche verdi, in linea con i rispettivi Piani strategici nazionali.
Negli allevamenti intensivi nessun tetto massimo è stato inserito per la densità di capi per ettaro e anche le sovvenzioni rimangono invariate. Tema spinoso non solo dal punto di vista dell’impatto ambientale, ma anche del benessere degli animali; era chiaramente necessaria una revisione visto che l’attuale normativa risale al 1998. Nessun budget specifico è stato stanziato per proteggere la biodiversità all’interno delle aziende agricole e non è passato l’emendamento riguardante l’obbligo di allocare almeno il 10% dei terreni a questo scopo. Per concludere in bellezza è stato bocciato l’emendamento che proponeva l’inserimento del Green Deal europeo tra gli obiettivi della nuova PAC.
Piccola nota positiva, è stato approvato un sistema di condizionalità sociale, in virtù del quale si applicano sanzioni a coloro che ricevono pagamenti diretti, se questi non rispettano le condizioni di lavoro e di occupazione e/o gli obblighi del datore di lavoro. Tuttavia, per mettere in atto ciò, dovranno essere fatti controlli stringenti per verificare la messa in regola dei braccianti, nonché che il loro compenso coincida con quanto pattuito da contratto. Infine, sono state proposte azioni ad hoc per promuovere l’inclusione delle donne nell’economia rurale.
Ma non è di certo una rondine a far primavera, sicuramente da questa PAC ci si aspettava molta più ambizione. I nove obiettivi tracciati prima della stesura, andavano chiaramente in una direzione green e al passo con le necessità della popolazione agricola, mentre il risultato ottenuto sembra avvicinarsi di più al greenwashing.
È vero che, in origine (1962) la PAC è stata concepita come un mezzo di sostegno per il reddito degli agricoltori e non con finalità di protezione ambientale. Nonostante ciò, è normale che in fase di ripresa post-bellica, l’obiettivo impellente fosse quello di aumentare la produzione, garantire un tenore di vita equo alla popolazione agricola e prezzi ragionevoli per i consumatori. Ad oggi, le necessità sono cambiate, ma la legislazione, come spesso accade, tarda a tenere il passo.
Inoltre, gli eurodeputati hanno votato sulla base di una proposta avanzata dalla Commissione nel 2018, prima che il Green Deal diventasse il fulcro della strategia economica europea. In questo modo è stata persa la possibilità di aggiornarsi sulla base delle urgenze ambientali che gli scienziati continuano a sottolineare. Il target da seguire non è più l’aumento degli approvvigionamenti, ma la necessità di produrre minimizzando le emissioni di gas serra, chiudere i cicli dei nutrienti e affrontare la perdita di biodiversità.
Anche se il Parlamento ha espresso il suo voto, martedì 10 novembre inizieranno i negoziati a tre tra Parlamento, Stati membri e Commissione. Quest’ultima, ricordiamo che ha ancora in mano la possibilità di rigettare interamente il testo attuale della proposta della nuova PAC. Ciò storicamente non è mai avvenuto, ma questa volta, le principali organizzazioni europee per il clima, l’agricoltura e l’ambiente hanno firmato una lettera che mette pressione per andare verso questa direzione. Inoltre, gli attivisti per il clima e molti cittadini europei lottano da giorni a suon di hashtag #withdrawnthecap per far sentire anche il disappunto popolare.
La nuova PAC entrerà in vigore nel 2023, dopo due anni transitori, o almeno fino a quando le tre istituzioni europee non troveranno un accordo. Se invece la Commissione non approvasse l’attuale proposta, questi due anni potrebbero essere sfruttati per redigere un nuovo piano, questa volta con un’attenzione reale all’urgenza di agire per contrastare il cambiamento climatico, evitando che gli interessi di lobbisti, legislatori e funzionari agricoli sopraffacciano i bisogni delle generazioni future.
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