Come già è noto tra le conseguenze del riscaldamento globale è annoverato lo scioglimento dei ghiacciai, fenomeno che contribuisce all’innalzamento del livello dei mari. Quest’ultimo, secondo uno studio di Nature Climate Change, dagli anni ’90 ad oggi sarebbe aumentato di 1,8 cm a causa della rapidità dello scioglimento che sta interessando soprattutto Antartide e Groenlandia. Inondazioni che si spingono sempre più verso l’interno dell’abitato, erosione del suolo, contaminazione delle falde acquifere e del terreno agricolo con acqua salata sono solo alcuni degli effetti che porta con sé tale fenomeno.
Quello di cui ancora non si parla molto però è la possibilità che l’innalzamento dei mari possa far riaffiorare agenti patogeni sepolti nei ghiacci, permettendo così a virus e batteri di secoli o addirittura millenni fa di tornare attivi. Questo perché il cambiamento climatico sta sciogliendo il permafrost, lo strato di terreno permanentemente ghiacciato, liberando antiche malattie contratte all’epoca da animali e uomini, i cui corpi sono stati sepolti. Infatti, come evidenziato in uno studio condotto da ricercatori statunitensi, pubblicato a gennaio, il ghiaccio rappresenta un ambiente perfetto per il mantenimento di batteri e virus, in quanto privo di ossigeno e buio. Lo studio è basato sull’analisi di due campioni di ghiaccio prelevati da un ghiacciaio in Tibet, all’interno dei quali sono stati identificati 33 gruppi di virus, di cui la maggior parte a noi sconosciuta a causa della loro origine antica. Quindi, il rischio sarebbe che, dopo lo scioglimento, questi entrerebbero in contatto con le falde acquifere per poi essere contratti dall’uomo tramite cibo contaminato o per inalazione delle spore dei batteri.
Un caso si è verificato nel 2016 in Siberia, quando un ragazzino di 12 anni è morto e una ventina di persone sono state ricoverate per antrace, un’infezione batterica che aveva causato la morte di un milione e mezzo di cervi tra il 1897 e il 1925. Il ritorno dell’antrace in tempi così recenti sembra sia stata causata da un’ondata di calore che, sciogliendo lo strato superficiale di ghiaccio, ha fatto riemergere resti delle renne uccise anni prima, le cui carcasse spesso sono rimaste all’aperto, semplicemente coperte dalla neve. Di conseguenza, una volta tornati alla luce i resti infetti, il batterio avrebbe contaminato il suolo e l’acqua per passare prima agli animali e poi all’uomo.
Già nel 2005 un team di ricercatori statunitensi aveva rivelato la potenziale vitalità di microrganismi che si conserva nel ghiaccio. Infatti erano riusciti a riportare in vita batteri di tipo Carnobacterium pleistocenium rimasti intrappolati in un lago ghiacciato dell’Alaska per 32mila anni.
Tali scoperte sono state poi confermate da ulteriori studi, uno dei quali ha destato particolare preoccupazione: nel 2016 alcuni ricercatori hanno ritrovato batteri di tipo Paenibacillus, sopravvissuti in una grotta sotterranea del New Mexico per 4 milioni di anni. Questi sarebbero molto resistenti a farmaci e antibiotici, quindi al momento non avremmo modo di combatterli nel caso di un loro ritorno in attività.
Se da un lato cogliamo la negatività e la preoccupazione di tali scoperte, dall’altro è bene prendere in considerazione l’aspetto positivo: gli agenti patogeni antichi potrebbero rivelarsi utili “amici” in ambito sanitario.
Alcuni scienziati, tramite l’autopsia del corpo di una donna rinvenuto in una città dell’Alaska, hanno prelevato un campione del ceppo dell’Influenza Spagnola del 1918, la pandemia più devastante del ‘900. Nonostante il corpo sia rimasto per più di 75 anni nel permafrost, all’interno dei polmoni della donna il virus è rimasto ben conservato. Questo ha permesso ai ricercatori influenzali di esaminare l’agente patogeno e le cause, creando l’aspettativa di poter un giorno prevenire future pandemie. Aspetto da non sottovalutare, vista la situazione di emergenza sanitaria in cui stiamo vivendo ormai da mesi.
La vera domanda è: quanto dovremmo preoccuparci? Alcuni studiosi affermano che il rischio di agenti patogeni del permafrost è inconoscibile quindi bisognerebbe concentrarsi su minacce più note e più concrete. Altri invece sostengono che il non poter quantificare i rischi non è una motivazione sufficiente per ignorarli. Se esiste una possibilità che i microrganismi patogeni sepolti possano tornare in circolo, bisogna tenerla in considerazione. Proprio perché non essendo stati a contatto con l’organismo umano per molto tempo, non solo potrebbero essere pericolosi per il nostro sistema immunitario non preparato, ma non avremmo contromisure adeguate per affrontarli.
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