Le grosse nubi di fumo nero che escono dalle ciminiere, la puzza di una strada trafficata, le bottigliette di plastica abbandonate sulle spiagge. Sono queste le immagini che di solito ci vengono in mente quando pensiamo all’inquinamento e alle emissioni che stanno – ormai è impossibile ignorarlo – distruggendo il nostro pianeta. Tuttavia, c’è qualcos’altro che, silenzioso e insospettabile, costituisce il 4% delle emissioni inquinanti annue a livello globale: la tecnologia digitale.
Solo il 4%? Considerando che questo dato è triplicato negli ultimi dieci anni e che è destinato ad aumentare nei prossimi per raggiungere, si stima, il 14% entro il 2040, non sembra poi così poco. Una semplice comparazione: il traffico aereo globale ne produce solo il 2%. È difficile immaginare come ascoltare la musica, mandare un’email o scaricare un’applicazione possano avere un tale impatto sulla sopravvivenza del nostro ambiente, eppure è così, e ne siamo tutti in parte colpevoli. In particolare, l’inquinamento digitale si divide in tre grandi aree: la produzione, i server, il cloud.
Materiali ed energia
La produzione di dispositivi implica l’utilizzo delle cosiddette “terre rare”, un gruppo di elementi chimici che trova innumerevoli applicazioni nel campo dell’elettronica. Come si può facilmente immaginare dal nome, però, il processo per trovarli e soprattutto per estrarli è invasivo e comporta un forte impatto ambientale. Inoltre, giunti al termine della loro vita, i dispositivi elettronici non sono facili da smaltire. Ad esempio, solo l’1% degli smartphone viene riciclato. Siamo sicuri che valga davvero la pena possedere sempre l’ultimo modello?
Oltre alla produzione, questi dispositivi devono anche essere mantenuti accesi, ovvero essere ricaricati. Il dispendio di energia in questo senso è enorme, soprattutto da parte dei piccoli dispositivi, come i cellulari, che necessitano di ricariche continue. Per questo, è consigliabile tenerli spenti o in modalità aerea quando non servono, e non lasciare WiFi, Bluetooth e GPS costantemente attivati. È importante ricordare di scollegarli dalla corrente quando raggiungono il 100% – e non dimenticare il caricatore attaccato alla presa!
Città di dati
Nonostante siano immateriali, le infinite quantità di dati immagazzinate nei dispositivi e nel cloud hanno un enorme impatto ambientale. Un singolo data center consuma quasi quanto una città di 21mila abitanti. Per cosa? Banalmente, per i costi di raffreddamento. Non a caso, le grandi imprese hanno trasferito i loro server nei luoghi freddi delle latitudini polari, e molte di esse si impegnano anche a impiegare fonti di energia rinnovabili. Ci si prova, ma non è ancora abbastanza, perché nonostante ciò il 70% dell’energia assorbita dai server continua a derivare da combustibili fossili.
Si è diffusa l’idea, in parte corretta, che le nuove tecnologie siano eco-friendly: niente sprechi per giornali cartacei, CD e DVD, infiniti fascicoli di modulistica burocratica, album di fotografie e lettere. Tuttavia, questi stessi dati in versione digitale hanno un impatto diverso ma egualmente influente. Milioni di fotografie che non verranno mai riguardate, Netflix acceso mentre si fa altro, casuali iscrizioni a newsletter, applicazioni scaricate e mai usate consumano – oserei dire inutilmente – una quantità inimmaginabile di risorse e di energia. Vediamo qualche esempio.
Guardare un video di un’ora su YouTube consuma circa come un frigorifero accesso per un anno. Mandare un’email può produrre dai 4 ai 50 grammi di anidride carbonica, la stessa che una lampadina produce in una giornata – e l’80% delle email è spam. Nel 2018, i servizi di streaming hanno prodotto 306 milioni di tonnellate di CO2. Per non parlare, poi, dei motori di ricerca.
Il costo di un click
Se Internet fosse un paese, sarebbe il sesto consumatore di energia a livello mondiale. Una ricerca su Google produce 10 grammi di anidride carbonica, e il colosso digitale elabora circa 47mila ricerche al secondo. In totale, Google produce 500 kg di CO2 al secondo, per un totale annuo di 268.800 tonnellate. Difficile da credere? Fate un salto su COO2GLE, che vi mostrerà la quantità di anidride carbonica prodotta in tempo reale. Se proprio dovete usare un motore di ricerca, sceglietene almeno uno green, come Ecosia, che si impegna a utilizzare il ricavato delle ricerche per piantare alberi (approssimativamente uno ogni 40 ricerche).
Se ve lo state chiedendo, leggendo questo articolo state creando emissioni di CO2. Anche io stessa, per pubblicarlo, l’ho fatto. Lo facciamo tutti, o almeno i 4 miliardi di persone al mondo che hanno accesso a Internet, e continueremo a farlo perché un’alternativa sembra non esistere. A che punto ci siamo ridotti se, per fare informazione riguardo all’inquinamento, siamo costretti ad inquinare?
Laura dice
Complimenti ben documentato e ben scritto …adesso ,dopo aver letto, però mi sento a disagio
Susanna dice
Mi hai aperto gli occhi su una questione che non immaginavo di tale portata