Nonostante di crisi climatica si parli da tempo, ancora oggi, spesso si porta avanti la credenza che l’interesse per la questione ambientale sia prima di tutto una sensibilità fine a sé stessa verso il mondo animale e vegetale che ci circonda.
Tuttavia, la questione ambientale e l’emergenza ad essa connessa affondano sempre di più le radici nelle questioni sociali, affrontando il delicato rapporto tra sviluppo e ambiente.
Il modello di sviluppo su cui è basata la nostra società è il modello capitalista. Per chi ancora non ne sapesse abbastanza, questo modello di sviluppo si fonda sul mettere al centro una crescita fondata sulla ricchezza e sul prodotto interno lordo (PIL). Grammenos Mastrojeni – diplomatico italiano, vicesegretario generale dell’UpM e co-autore del libro “Effetto serra, effetto guerra” – in un’intervista a CliMattina ha affermato che “nell’analizzare tutte le nostre scelte abbiamo sempre pensato che ci fosse un trade-off tra alcuni valori, per noi tutti importanti. Tra questi valori abbiamo messo sopra di tutti lo sviluppo, ovvero la ricchezza, il PIL e via dicendo. Abbiamo pensato che in nome di questo valore valesse la pena sacrificarne altri. Per esempio, abbiamo pensato che in nome di uno sviluppo più rapido potesse valere la pena sacrificare dei diritti umani come i diritti dei lavoratori meno protetti o sacrificare la pace come avvenne durante l’epoca della colonizzazione.”
Nel 2016, il documentario ‘The true cost’ denunciò il settore tessile spiegando che il 97% della produzione veniva delocalizzata in paesi esteri in cui milioni di lavoratori – per la maggior parte donne – non potevano contare sugli stessi diritti e sulle stesse protezioni dei lavoratori occidentali.
Infatti, l’offshoring – in italiano delocalizzazione – è una pratica molto usata dalle multinazionali che consiste nello spostamento dei processi produttivi nei paesi in via di sviluppo con il fine di risparmiare sul costo della manodopera. Quello che in un negozio in occidente è un risparmio, in un paese del Global South corrisponde allo sfruttamento dei lavoratori.
Non è tutto! I diritti umani non vengono lesi soltanto per i lavoratori che si trovano costretti a inserirsi nella macchina del capitalismo, ma vengono lesi anche come effetto di tutti i danni climatici che esso comporta.
“Se immaginiamo, ad esempio, una siccità. Essa, comportando un mancato raccolto, ha conseguenze non solo sull’ambiente, ma anche sull’economia e sullo sviluppo. Se questo succede da noi, l’agricoltore forse può contare su delle reti di salvaguardia o su assicurazioni del raccolto, ma se questo succede a un contadino in Africa queste salvaguardie non ci sono. È allora che un problema di sviluppo diventa un problema di diritti umani.” – G. Mastrojeni
Si pensi che il rapporto “Diritti umani e clima” di Amnesty International afferma che i diritti umani a rischio a causa della crisi climatica saranno principalmente cinque: il diritto alla vita, il diritto all’acqua, il diritto al cibo, il diritto all’alloggio e il diritto ai mezzi di sussistenza.
In che modo questi diritti rischiano di essere intaccati con il cambiamento climatico?
Secondo l’IPCC, le ondate di calore e gli incendi più intensi provocheranno una riduzione della produzione alimentare nelle aree più povere causando maggior rischio di malnutrizione e malattie, portando migliaia di persone ad ammalarsi e a perdere la vita.
Anche le case che ci ospitano e le infrastrutture idriche-igieniche che ci permettono il godimento del diritto a un livello di vita adeguato sono a repentaglio: lo scioglimento di neve e ghiacciai, la riduzione di precipitazioni, l’innalzamento delle temperature e dei livelli dei mari comportano cambiamenti devastanti per i territori in cui viviamo, distruggendo case, sommergendo città, contaminando le risorse idriche e riducendo l’accesso all’acqua potabile, già non concesso a più di un miliardo di persone.
Infine, si può concludere che la necessità di non salvaguardare quello che dovrebbe essere un equilibrio tra sviluppo, diritti umani e natura, nasce proprio dall’ingordigia del modello capitalista che punta su una produzione infinita in un pianeta di risorse finite. Ecco che il capitalismo calpesta con una scarpa la terra e con l’altra l’umanità, rendendo la questione sociale e la questione ambientale due facce della stessa medaglia.
Carla dice
Brava Alessia e’ confortante vedere che i giovani sono interessati a questi problemi!!!!Speriamo che tanti altri si impegnino come te per salvaguardare questa terra e il vostro futuro !!
Paolo Sandrucci dice
Ciao “Green Peace”!!! Cara Alessia sai che tu ed io siamo in totale sintonia. Nel corso di questo anno scolastico dobbiamo cercare di fare il massimo per trasferire alle giovani generazioni,che io considero il vero terreno fertile della nostra società, i concetti espressi nell’articolo oltre alle altre cose che ci siamo già dette. Un abbraccio!!