Netflix, videochiamate e cucina sono le prime cose che ci vengono in mente quando si parla di quarantena. Le serie in streaming sono state probabilmente il passatempo principale di molti di noi in questo periodo, mentre le videocall, gli aperichat e le ricette sono saldamente al secondo posto.
C’è però un’altra attività che è stata riscoperta in questo momento particolare ed è quella del giardinaggio e della creazione di orti casalinghi.
Già presente in pianta stabile nelle abitudini di molte persone dai cinquanta in su, questa era soprattutto una sorta di eredità spirituale della generazione precedente, in cui l’orto era una necessità di vita, più che un hobby. A meno di provenire da famiglie da sempre vissute in città, è comune ricordare i propri genitori e i nonni lavorare nel giardino o piantare i pomodori per la passata. Più ci si allontana dai grandi agglomerati urbani, più questa diventa un’attività che si è sempre visto fare, ma che probabilmente negli ultimi anni aveva perso il suo appeal.
Ci è voluta una pandemia per fare esplodere nuovamente il gusto di farsi l’orto in casa. E se in Australia e Nuova Zelanda i fornitori di semi si sono perfino trovati in crisi per le troppe richieste il giardinaggio viene adesso riscoperto ovunque.
In questo periodo di quarantena, dedicarsi al giardino risulta a volte solo frutto della ricerca di un diverso tipo di passatempo, oppure di una passione per cui non si aveva mai avuto tempo e che ora può trovare sfogo. Alcuni cercano anche un’attività all’aria aperta che permetta loro di godere di un po’ di sole mentre si fa attività fisica.
Due sono i motivi principali che spingono anche chi non si era mai dedicato ad un orto a voler iniziare con questa attività.
Il primo è quello più pratico ed è causato direttamente dalla quarantena, e cioè la realizzazione di essere completamente dipendenti da altri per avere cibo per sé e la propria famiglia. A questa “scoperta”, molti si sono ingegnati e reinventati agricoltori “wannabe”. Il poter essere indipendenti dal punto di vista alimentare ha quindi certamente contribuito ad aumentare l’attrattiva di avere un proprio orto e poter coltivare le proprie verdure.
Il fenomeno degli “orti urbani” già da tempo ha portato questa tendenza anche nelle città, dove la voglia di essere autonomi nella produzione del proprio cibo si accompagna a quella di voler controllare la qualità di ciò che si porta sulla propria tavola. Questa attenzione si può notare anche nella crescita nella vendita di prodotti bio, che si registra anche in questo periodo difficile. La consapevolezza del pubblico sul tipo di alimenti che si consumano ogni giorno diventa quindi parte delle motivazioni per avere un proprio orto.
Una delle ragioni che a quanto pare risulta essere fondamentale in questa decisione è però di tipo più profondo e si ricollega non solo alla situazione in cui ci siamo tutti ritrovati in questo inizio 2020, ma soprattutto a quella in cui viviamo ormai da molto tempo.
La mancanza di contatto fisico, ma anche la mancanza di contatto con la realtà vera, tattile, e il distacco sempre più evidente della nostra vita quotidiana dalla Natura: tutti questi aspetti erano qualcosa di presente già da prima dell’inizio della pandemia. Il virtuale e il digitale avevano preso da tempo il posto del reale e questa disconnessione tra di noi e la terra ha comportato una necessità interiore profonda.
Questo tipo di bisogno, che non è solo di contatto fisico, ma anche di espressione creativa e di riscoperta della Natura vera, trova compimento nel coltivare l’orto in maniera più che soddisfacente. Per quanto sia un’attività cosiddetta “semplice” (cosa che poi in realtà non è), dedicarsi alla propria piccola coltivazione di verdure risponde in modo completo ad un bisogno fisico che nemmeno sapevamo di avere.
Sporcarsi le mani con la terra, ritornare alle basi fondamentali di quella che è la nostra natura interiore e infine vedere crescere qualcosa che si è piantato e accudito noi stessi: “fare l’orto” è un’attività che non aiuta solo a coltivare il proprio cibo, ma anche la propria anima.
È quindi anche in questo senso che va vista questa riscoperta, come un tentativo di tornare alla terra, alle origini, e quindi all’essenza di quello che è l’Uomo.
Confidiamo che questa spinta interiore rimanga anche dopo la fine di questa situazione, soprattutto per le sue implicazioni positive nel lungo termine: a giovarne saremmo non solo noi, ma l’intero pianeta.
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